30/03/06

Attualità (2005)

L’abito dei preti 
Ha vinto il pizzaiolo 
Oratorio estivo
Notizie dalla Cantoria di Sant’Ippolito...
Santità? (il pittore Giuseppe Bernardi)
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L’abito dei preti
Riportiamo una piccola parte di un intervento molto più ampio e articolato riguardante anche la normativa canonica della Chiesa, fatta dal giornalista Rino Camilleri, a Milano, il 20 luglio 2005, alla presentazione del libro di P. De Santis: “L’abito ecclesiastico: sua valenza e storia”, che ci pare opportuno e interessante fare conoscere anche dalle pagine del nostro Bollettino.
«Viviamo in un’epoca in cui qualsiasi gruppo o categoria, anche la più piccola, rivendica la propria  identità e cerca di esporla. C’è chi fa battaglie legali per avere il diritto di mettersi il “burqua” a scuola. Anche le commesse del McDonald hanno una divisa. Per non parlare delle categorie professionali classiche: i medici, gli infermieri, i volontari dell’ambulanza, i magistrati. Tutti, insomma, cercano un distintivo esterno per essere identificabili.
Il Santo Padre Benedetto XVI si intrattiene con mons.Claudio Jovine
il 22 settembre 2005 a Castelgandolfo. 
(foto O.R.)
È strano che mentre tutti valorizzano i loro segni e i loro simboli solo il segno del prete deve essere tolto o abbandonato. A che pro? Ebbene, i soli che in quest’epoca non tengono alla loro immagine sono alcuni uomini del clero. Sì, in tempi di ghigliottine era consigliabile travestirsi. Ma oggi non si rischia la pelle, si rischiano tutt’al più fastidi: che so, passi per una strada in cui ci sono giovinastri ideologicamente orientati che ti dileggiano.



Oppure puoi venire assalito da mendicanti o da qualche psicolabile. Tutte cose che vanno sotto il nome di  “fastidi”. Ma se temevi tanto i fastidi perché ti sei fatto prete?

L’abito ecclesiastico è una predicazione muta, come la predica silenziosa di S. Francesco. E lo è in un tempo affamato di segni. Se sono in strada nottetempo, ma vedo in giro dei poliziotti, sono più tranquillo. La loro divisa serve proprio a rasserenare gli onesti e a diffidare i malintenzionati. Certo, il poliziotto talvolta si traveste per esercitare meglio la sua attività, ma questo non vale per il prete: il poliziotto deve cercare i cattivi, invece il sacerdote dovrebbe avere tutto l’interesse a farsi riconoscere dai buoni.
Mi rendo perfettamente conto che in un’epoca in cui il cattolicesimo non è particolarmente “à la page” si possa avere un certo imbarazzo, una certa esitazione, un certo timore a manifestare la propria appartenenza al clero. Ma si tratta di timorucci umani. (...)
Pio XII ricevendo in udienza gli operatori della moda esordì con questa stupenda frase: “Da come uno si veste si capisce cosa sogna”. L’abito non fa il monaco (dicevano nel Medioevo, perché le Università erano corpi ecclesiastici: gli studenti portavano l’abito clericale e ciò li sottraeva alla legislazione civile). È vero ma un buon monaco se lo mette, anche perché non ha alcun motivo per toglierlo.
Il problema dell’ostilità odierna all’abito è anche di natura psicologica. C’è questo sordo muro di gomma, una resistenza passiva che l’ex Cardinale Ratzinger ora Benedetto XVI conosce perfettamente. Non vorrei essere nei suoi panni, perché non so come possa risolvere la questione. Già: la Chiesa non può imporsi ai suoi uomini con la forza. Ma la logica è dalla sua parte. È ridicolo iscriversi al club del bridge per poi pretendere di giocare a scopone perché le regole del bridge non mi piacciono. (...) Stiamo assistendo ad un cristianesimo mediocre che nessuno osa più chiamare con il suo nome. Non ha contorni nitidi ma si manifesta in comportamenti. È un cristianesimo molto “fai da te”, con dentro tutto quello che uno vuole. Viviamo una crisi non di strutture o di comando ma di fede. Si comincia prima con l’abito, poi prego un po’ di meno perché “ho da fare”, poi “l’accoglienza” è molto meglio della lettura, poi “la solidarietà” è molto meglio della meditazione; alla fine dai e dai, non rimane più niente. Poco alla volta non ti sei nemmeno accorto di come hai fatto a perdere tutto, pur avendo cominciato con tanto entusiasmo il giorno in cui sei stato ordinato (...)».
Rino Camilleri
ATTUALITA’

Ha vinto il pizzaiolo
Quasi quarant’anni fa l’estate di Bardonecchia è stata gratificata da un avvenimento straordinario che si è ripetuto allo stesso livello per qualche anno e che ha successivamente dato inizio a una tradizione continuatasi fino ad oggi.
Allora era Parroco di Bardonecchia monsignor Bellando, lontano cugino di un mio vecchio amico, Alfonso Bellando, giornalista, scrittore ed europeista convinto. Io lo ricordo come un bell’uomo colto, buon oratore e dotato di un sicuro ascendente, anche se non troppo vicino alla maggioranza della gente. Fu lui ad accogliere con entusiasmo il progetto della contessa Grosso, genovese, che aveva la sua residenza estiva non lontano dalla chiesa. Questa signora dai capelli bianchi, piccolina, estremamente energica, legata nella sua città alla famiglia Costa, era la vera organizzatrice della stagione concertistica della Giovane Orchestra Genovese: amica di molti grandi artisti, dotata di estrema sicurezza nell’individuare i veri talenti, aveva fascino e ascendente tali che le permisero per alcuni anni di seguito di convincere alcuni straordinari esecutori a passare un giorno d’estate a Bardonecchia per esibirsi in un concerto in S. Ippolito, che oltre a essere una bella chiesa è dotata di una di una straordinaria acustica.
La prima volta la gente affluì curiosa. Era il mese di agosto: sulla porta della chiesa due ragazzini serissimi, con gli occhiali (erano i due gemelli, figli minori della contessa), distribuivano i programmi. All’interno i banchi erano – e sono – durissimi e rigidi, molto adatti a impedire eventuali sonnolenze, e pensati certo per indurre i fedeli a stare in piedi o ad inginocchiarsi. Ma niente di questo contava per gli ascoltatori, assolutamente affascinati dalla qualità dell’esecuzione.
Qui mi accadde di ascoltare per la prima volta un giovane e stupefacente Salvatore Accardo, per cui la gente si sarebbe accalcata in tutto il mondo negli auditorium e nelle sale da concerto. Qui udii per la prima volta il pianista Askenazy, che, come amico di famiglia della signora Grosso, non aveva potuto rifiutarle questa cortesia. Infatti quando venne, lui già celebre, il suo concerto stupendo costituì un favore che volle fare alla contessa amica, nella chiesa gremita le cui splendide sculture in legno, i quadri, i paliotti non erano ancora stati restaurati, ma che dalla musica era straordinariamente illuminata.
Anche all’organo si seguirono buoni concertisti, e altri pianisti vennero, come Canino e Maria Tipo. Fu da quei giorni che un bel pianoforte a coda, probabilmente appartenente alla signora, stazionò in permanenza in una cappella laterale. Chi fosse entrato in chiesa in quei pomeriggi nelle ore libere da funzioni avrebbe spesso potuto ascoltare qualche esecutore esercitarsi nella penombra, sulla tastiera del pianoforte o dell’organo.
Di solito, quando terminavano i concerti, gli artisti erano invitati a cena dalla signora in un locale o più spesso a casa.
Fu a lei che un’estate chiesi se ci fosse la possibilità per una mia giovane amica, aspirante concertista, che stava preparando un ultimo esame, di venire a esercitarsi in chiesa sul bellissimo pianoforte. La signora ne parlò con monsignor Bellando, il permesso fu accordato, e il professor Mucaria e sua figlia affittarono per l’estate un alloggio in Borgo Vecchio. Fu quell’anno che si vide girare per Bardonecchia un distinto personaggio in abiti altoatesini: era la governante del professore vedovo e della figlia.
Quell’anno spesso la cortesia della signora, nelle riunioni dopo-concerto si estese anche a me, oltre che al professore e alla figlia ventenne che era veramente brillante e piena di promesse.
Una sera si era esibito un noto quintetto vocale di estrema bravura, in pezzi del Cinquecento e del Seicento. Il controtenore, che ci tenne poi una sorta di conferenza, per altro interessante, sulle sue tecniche di impostazione della voce e sulle fatiche che queste implicavano, era accompagnato da una bella ed elegante fidanzata. Appena fummo entrati nella pizzeria più vicina alla chiesa, il Messicano, uno dei pochi locali rimasti immutati nei decenni, la fidanzata accese una sigaretta – molti già allora pensavano che il fumo fosse dannoso per la salute – e poi un’altra. Accorse il proprietario additandole i cartelli alla parete: «Qui è vietato fumare». «Non me ne importa niente – rispose lei, in mezzo all’imbarazzo generale –, io ho sempre fumato e non intendo smettere proprio stasera». «Mi scusi – il pizzaiolo insisteva – ma qui non è permesso». Seguì un breve battibecco, al termine del quale la signorina si alzò: «Io me ne vado. Qui non capiscono niente». Il fidanzato non poté che imitarla e anche noi li seguimmo, imbarazzatissimi. Erano le undici e mezzo di sera, e le mense notturne di Bardonecchia erano piuttosto scarse. Comunque mi pare di ricordare che fummo accolti da qualcun altro in via Medail.
Sono tornata nella pizzeria quest’ultimo fine settimana di giugno, così freddo da avermi fatto desiderare il calore del forno. Il padrone è sempre lo stesso, ma adesso porta gli occhiali. Non c’è neppure più bisogno del cartello: «Non si fuma». Non lo si fa più in nessuno dei bar e dei ristoranti italiani. Questo fatto ha moltiplicato le cicche sui marciapiedi, perché la gente esce a fumare in strada.
Ma il pizzaiolo ha vinto.
Elena Cappellano
Questa fotografia di S. Ippolito è stata pubblicata sulla rivista “Caccia alpina” per gli auguri delle festività 2005/2006 ai cacciatori di montagna. (foto T.Col. G. de Franceschi)
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ATTUALITA’
Oratorio estivo
Eccoci di nuovo qui a ripercorrere con la mente i bei momenti che anche quest’anno ci siamo regalati con l’esperienza dell’Oratorio Parrocchiale, vissuta come momento di socialità e di formazione.
Il 4 luglio si è deciso di aprire, come ormai da parecchie estati, il “cancello del campetto” con i più assidui frequentatori “scalpitanti” all’ingresso, fin dal primo pomeriggio, in attesa di poter trascorrere qualche ora in allegria, intrattenendosi con diverse attività. È piacevole considerare a tal proposito che ogni anno che passa ci si ritrova sicuramente con qualche centimetro in più di statura, ma sempre con lo stesso entusiasmo, la stessa voglia di stare insieme.
Quest’anno la “mascotte” dell’Oratorio è stata il piccolo Alessandro che, puntuale come un orologio, ogni giorno anticipava tutti, desideroso di poter trascorrere qualche ora con i più grandi.
Durante i pellegrinaggi alle Cappelle di montagna che si sono svolti nel corso dell’estate, un piccolo gruppo di bambini, i più perseveranti, ha partecipato anche quando il tempo non era del tutto clemente: con un po’ di buona volontà e un po’ di fatica si è comunque sempre riusciti ad arrivare alla meta, potendo ogni volta contare sulla costante disponibilità a collaborare del più “grandicello” Andrea.
Nel mese di novembre, infine, si è tenuta la Colletta Alimentare, un’iniziativa realizza114 ta a livello nazionale, attraverso la quale è possibile aiutare le persone che si trovano in difficoltà. Come Oratorio Parrocchiale, si è deciso di coinvolgere i ragazzi al fine di sensibilizzarli alla generosità e alla lotta contro lo spreco. Si è perciò aderito mettendo alla base di questa giornata la scelta comune di vivere nella pratica la convinzione: “Condividere i bisogni per condividere il senso della vita”. Chi vi ha partecipato, ha dato un buon esempio di altruismo, lottando anche contro il freddo fin dalle prime ore del mattino!
E.F.
ATTUALITA’
(fotografie di E. Fontana)
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Notizie dalla Cantoria di Sant’Ippolito...

Abbiamo pensato di riproporre, nel Bollettino parrocchiale di quest’anno, un articolo sulla Cantoria di Sant’Ippolito con un duplice scopo: coinvolgere bardonecchiesi e villeggianti circa la nostra attività e recare un giusto e pubblico plauso all’impegno dei cantori.
La Cantoria parrocchiale quasi al completo
per la festa di Santa Cecilia. 
(foto F. Blandino)
Da qualche tempo, per questioni organizzative, le prove si svolgono in chiesa ogni quindici giorni ed esattamente il mercoledì dalle 20,45 alle 22,30 circa. Si effettuano due periodi di “vacanza”: dopo le feste di Natale fino a metà febbraio, e dopo Sant’Ippolito fino all’inizio di ottobre, compatibilmente con eventuali compiti straordinari. Ebbene, con qualsiasi tempo e temperatura i nostri cantori sono puntuali all’appuntamento ed affrontano con impegno un breve esercizio di vocalizzi per scaldare la voce e lo studio dei brani che vengono loro proposti.
Sempre più spesso il programma include pezzi polifonici non facili, talvolta ripescati  dal repertorio assai pregevole della Cantoria. La grande concentrazione e l’impegno richiesti oltre al sacrificio, portano i loro frutti: è sempre più grande la soddisfazione, sia da parte dei cantori sia da chi partecipa alle Sante Messe, nel sentire una crescente sicurezza e qualità nell’esecuzione dei brani.
La ricerca di una preparazione migliore non è però finalizzata all’esecuzione da applaudire, come fosse un concerto: si ha invece il desiderio che la Santa Messa, in occasioni particolari, sia sempre più bella per onorare e glorificare il Signore, proprio come quando, nelle solennità, vengono utilizzati paramenti e oggetti preziosi. I fedeli non vengono esclusi da questo intento, perché nei programmi dei canti si alternano brani polifonici a canti del libretto; in alcune circostanze della Messa la Cantoria, con i brani propri, introduce o accompagna la celebrazione, dando un tono particolare e aiutando la preghiera; in altri momenti l’assemblea è invitata ad unirsi al canto del coro (che sostiene o abbellisce il brano in polifonia) per lodare insieme il Signore.
Come tutti gli anni, nel 2005 la Cantoria ha prestato servizio alla sera del 1° gennaio, all’Epifania, alla Veglia e nel Giorno di Pasqua, a Sant’Ippolito, all’Assunta, al 1° novembre sia al cimitero che in chiesa, come pure a San Lorenzo a Les Amauds, a San Rocco... Ora, nei giorni di stesura di questo articolo, si prepara a festeggiare la patrona della musica Santa Cecilia e per le future prove per l’8 dicembre, le festività natalizie, nonché per il 2008, anno in cui la Cantoria festeggerà i 60 anni di fondazione.
Durante i mesi estivi hanno partecipato alle Messe anche alcuni villeggianti “aggiunti” che hanno dato un buon supporto; non dimentichiamo poi coloro che per tutto l’anno partecipano alle attività pur risiedendo fuori Bardonecchia e i cantori di tutte le età, che hanno preferito recarsi alle prove piuttosto che rimanere in casa al caldo, magari a guardare la tivù.
Gli appuntamenti non sono poi tantissimi e anche abbastanza distribuiti nell’anno: come si può valutare non si tratta di impegni impossibili, ma di un’attività che però richiede un pochino di costanza per imparare i canti. Le porte della Cantoria sono aperte e tutti coloro che vogliono mettersi in gioco e cantare stando insieme.
Grazie e tutti i cantori per il loro impegno e la loro fedeltà. Bravissimi, continuate così!!
Stefania e Fabrizio
Mi preoccupa che alcune di voi non abbiano incontrato Cristo da solo a sola... sì, potete restare anche a lungo in Cappella, ma avete mai visto nell’anima l’Amore con cui Egli vi guarda. Conoscete Gesù vivo non dai libri, ma stando davvero con Lui nel vostro cuore... Avete mai udito le parole d’Amore che Egli vi rivolge?  Non abbandonate mai questo contatto quotidiano con Gesù, non come un’idea ma come una Persona viva e vera!
Parole di Madre Teresa di Calcutta alle sue suore

Santità?

Il pittore Giuseppe Bernardi, divenuto da qualche anno nostro concittadino, è autore di una collezione molto ampia di opere, tra le quali, parecchie, descrivono i luoghi della sua giovinezza. Tra queste ricordiamo: “Il dopolavoro”, “L’osteria della croce”, “Il baraccone piccolo e la casa di Camillo”, “Il baraccone grande”, “La cascina abbadia”, tutte opere che trovano una accurata descrizione nella narrativa, del Bernardi stesso, uscita in libreria nel dicembre 2004, dal titolo “Lettere da Batista a Battistin, tra Bertolla e l’Abbadia di Stura”.
“Santità?”. Olio su tela 35x50.
Giuseppe Bernardi, 1985.
Tra le sue migliori tele vogliamo sottolineare quella dedicata a San Pio da Pietrelcina, dipinta già nel 1985 dal titolo “Santità?”. Ecco come lo stesso autore l’intende presentare in un pieghevole del 2003:
«Era la sera del 3 aprile 2003 quando il pullman, scostandosi dal marciapiede di Via Po a Chivasso, dava inizio al lungo viaggio che ci avrebbe condotti in pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo. (...) Quando venni a S. Giovanni Rotondo la prima volta avevo 22 anni, era il 1955. Ero imbarcato su una delle 20 o 22 unità antisommergibile di stanza ad Augusta. (...) Un giorno ci fermammo in rada a Molfetta. Di lì l’idea di andare a S. Giovanni Rotondo per vedere questo Frate del quale avevo sentito tanto parlare. Presi la corriera che un po’ faticosamente ci portò lassù.
Ricordo di aver assistito ad una sua Messa che mi era parsa lunghissima. Il Frate trascinava un po’ i vecchi sandali camminando; quelle “mufle” nere alle mani mi davano pena e sgomento. Ma fu fuori, nel cortiletto con qualche albero, a sud della chiesetta che riuscii a vederlo in viso. L’ho dipinto solo 30 anni dopo perché la mia pittura non è figurativa, né impressionista, ma l’immagine è riuscita. L’espressione del grande pensatore, la forza, il dolore. Mi pare ci sia molto di cosa avevo visto in lui. (...)».