18/02/07

Abbazia di Novalesa - 13 secoli si storia (2006)


TREDICI SECOLI DI STORIA
Un invito alla visita dell’Abbazia di Novalesa
IL VISITATORE che, negli scorsi mesi è salito lungo la valle verso il Moncenisio, fino all’Abbazia di Novalesa per ammirarvi la stupenda mostra di codici qui ospitata della mostra “Carlo Magno e le Alpi”, può completare in questo anno in cui Torino con la sua Provincia è stata definita dall’UNESCO “Capitale mondiale del Libro con Roma” la visita del monumento con la lettura di un importante libro intitolato “Nuove luci dall’abbazia”. Con i tipi dell’Electa l’ha curato Maria Grazia Cerri per proporre, dopo ricchi ed accurati lavori di restauro coordinati da Andrea Bruno e sostenuti dalla Provincia di Torino e dalla Compagnia di San Paolo, storia e arte dell’abbazia altomedievale.
Il testo raccoglie le rivelazioni degli scavi archeologici attuati nel tracciato murario preesistente all’attuale chiesa: due fasi preromaniche e una, più o meno corrispondente al disegno attuale, romanica e i resti della cappella della SS. Trinità con l’emozionante lacerto dell’affresco con la lapidazione di santo Stefano.
I contributi architettonici, descritti da Gisella Cantino Wataghin si accordano con i reperti scultorei medievali studiati da Stefania Ugge: alcuni, inediti, in loco; altri del Museo Civico di Palazzo Madama. Sono reperti tardoantichi di grande interesse a nastri, cerchi, nodi e ventagli, a trame geometriche arricchite un tempo dal colore di cui si leggono tracce e rivelano in alto medioevo la presenza di botteghe lapicide evolute.
«Nei primi secoli di vita, protetta dalla corte merovingica in seguito dai Carolingi (anche Carlo Magno, amico dell’abate Frodoino, vi era ospitato) l’abbazia, ricca di possedimenti qua e di là delle Alpi, godeva di prestigio e privilegi tali da affermare la propria autorevolezza ben oltre i confini della valle». Le parole della Cerri alludono alla ricca storia della Novalesa che affascina, proposta nel volume da Giuseppe Sergi.
Qui il percorso della via Francigena conduceva pellegrini e mercanti; il suono delle campane, diffuso dall’ampia torre campanaria, raggiungeva chi percorreva la valle rivelando la presenza del monastero a cui l’abate Eldrado conferiva, tra VII e IX secolo, prestigio, arricchendo lo scriptorium e sviluppando l’attività edilizia. “Immagini ed apparati per il culto e la memoria” sono proposti da Guido Gentile che, procedendo dall’intarsio di storia e leggende costituito dal “Chronicon Novaliciense” propone la descrizione degli affreschi ora ritrovati ricuperando ipotesi stratigrafiche relative alle cappelle, alla navata, al coro ligneo un tempo nel presbiterio. Di quest’ultimo, riccamente intagliato per committenza dell’abate Aschieri (1398-1452), oggi nella chiesa parrocchiale di Sant’Ippolito a Bardonecchia, si propone una attenta lettura che consente di collegare così – con un trait-d’union storico artistico di massimo interesse – la cittadina sita al termine della Valle di Susa con l’antico monastero della Val Cenischia, sulla strada del Moncenisio.
Proprio lo studio degli stalli così ricchi e complessi, opera di artigiani di area alpina, forse savoiardi, restituisce pregnante presenza all’opera scolpita che merita di essere meglio proposta alla lettura dei visitatori.
Tra le altre ipotesi suggestive è il possibile riconoscimento dell’ancona dell’altar maggiore di cui potrebbero essere parte le due tavolette dipinte attribuite a Jaquerio, giunte ai Musei Civici torinesi nel 1975 e presentate recentemente al Valentino nell’esposizione sul Gotico internazionale a Torino intitolata “Corti e Città”.
Le bellisssime figure di Santi benedettini, affrescate a Novalesa nel presbiterio della chiesa abbaziale, attribuite ad Antoine de Lonhy, sono descritte da Gentile come “maestosi attori di una rappresentazione” con realistici ritratti. Ad essi conferisce drammatica pregnanza la crivellatura scalpellata a cui nel tempo sono stati sottoposti. S’aggiungono le “vigorose e quasi scontrose” figure di quattro profeti nel sottarco d’ingresso e nella parete sud. Quanto i visitatori della chiesa abbaziale possono ora godere si completa con il pannello di alabastro del Museo d’arte sacra di Susa, ricordato in un inventario dell’abbazia del 1644. È opera di scultura inglese, frammentaria ma di grande interesse; è stato un acquisto antico, tramite i Paesi Bassi? L’ipotesi è una delle suggestioni che si traggono dal saggi del volume in cui ancora Claudio Bertolotto presenta gli affreschi ritrovati nel Salone Carlo Magno e nella Camera Stellata. Fra Duecento e Trecento sono partiture decorative che, come quelle della Camera delle rose e di quella degli stemmi, inducono attente indagini critiche. Sempre denso di mistero è ancora, nell’antico refettorio, sulla parete verso il chiostro il piccolo affresco monocromo con un cavaliere che caccia un animale maculato: una tigre? Un motivo assolutamente originale, collegabile a immagini riprodotte su tessuti orientali.
Il fascino di una visita a Novalesa, in cui tutti questi motivi possono essere proposti, si arricchisce con il ricordo del museo che rivela i segreti del restauro cartaceo. Dalla pergamena alla carta, dal legno alla cera, alla pietra, al papiro; dagli strumenti per la scrittura alla conoscenza strutturale del libro – con la presenza drammatica di un volume disastrato – alla patologia e finalmente alle tecniche di restauro che, nel laboratorio organizzato da padre Daniele Mazzucco, veneziano giunto dall’isola di San Giorgio, si realizzarono
fin dal 1973 in un laboratorio tra i più prestigiosi in Europa.
Maria Luisa Tibone