18/02/07

I Santi titolari (2006)


MODALITÀ E TEMPO
I Santi titolari
Il tema iconografico della doppia intercessione della Vergine e del Figlio che vegliano sul popolo affonda le sue radici nella devozione medievale; Maria “corredentrice” appartiene infatti alla spiritualità francescana.
Il motivo mistico “dell’intercessione” veniva inoltre rappresentato in quanto “miracolo” operato dai Santi tramite la forza delle preghiere del popolo. Si “intercede” per meriti guadagnati dalla fedeltà di quel popolo.
Ne consegue che le tavole dell’altare sono sempre state anche rappresentazioni giuridiche dei diritti di quella Chiesa che rappresenta quel popolo.

Per entrare in un tempo di datazione della pala d’altare di S. Ippolito di Bardonecchia, ci possiamo avvalere di un confronto con la pala d’altare di S. Antonio di Melezet firmata e datata 1698, riscontrando la stessa impostazione figurativa e valore simbolico



Le figure dei Santi rappresentano al di là del sacro la “securitas” nel senso proprio legale, di “diritto” che spetta a quella società. Di conseguenza le feste e la rappresentazione di Maria e dei Santi divennero anche una risposta di diritto ecclesiale e sociale contro la soppressione di momenti liturgici che le correnti eretiche avevano cercato per tanto tempo di attuare. Se in Sant’Ippolito di Bardonecchia abbiamo la presenza di due Santi in armi che difendono territorialmente il diritto di quel popolo, in Sant’Antonio di Melezet due figure sacre, l’Abate Antonio e un Angelo, confermano la richiesta di sicurezza di vita e di redenzione.
In quel reiterato tempo di peste e di gravissime malattie della pelle che conducevano gran parte del popolo alla morte, le preghiere al Santo che guariva e all’Angelo che custodiva, per intercessione di Maria, si chiedeva il diritto alla sicurezza di un posto in cielo dove essere per sempre accolti.
Sullo sfondo di entrambe le tele è rappresentato il territorio d’appartenenza al quale erano dedicate le proprie chiese, formulazione fondante dei propri diritti.
Nella parte centrale, per entrambi i dipinti come abbiamo visto, la medesima immagine della Vergine Assunta.
È il colore del velo della Madre che accomuna profondamente le due figure, quindi i due dipinti. Non il velo bianco virgineo o celeste del divino, ma un velo dal colore bruno come abbiamo già notato, rarissimo simbolo della penitenza terrena sostenuta. Alla base dei dipinti di entrambe le tele viene infatti rappresentato un territorio oscuro abitato dal male dell’eresia nella figura del drago per la tela di Bardonecchia, mentre tra il Santo Abate e l’Angelo di Melezet è riprodotto un territorio di sepoltura nell’invocazione di un posto in cielo.
Questi significati e valenze salvifiche associano le due pale d’altare allo stesso periodo storico e artistico.
Proseguendo nella valutazione dei colori il nero dell’abito dell’Abate Antonio enuncia precise valenze.
Vissuto in Egitto tra il 200 e il 300 d.C., fu fatto Santo per il tocco delle mani miracolose contro i terribili mali della pelle e le sue reliquie vennero traslate in Francia.
Il nero, oltre alla valenza eremitica della sua esistenza, esplica il motivo esatto d’impiego nella cura delle ulcerazioni. Tali ulcerazioni venivano dal Santo protette con uno spesso quantitativo di grasso di maiale raffigurato di sovente accanto a lui per tale motivo.
Detta cura era provvidenziale in quanto il grasso serviva da schermo contro i raggi del sole che avrebbero maggiormente irritato e ustionato le lesioni, esasperando la sofferenza della ghiandole linfatiche e dei nervi periferici inerenti. Questo il significato principale del colore nero della tonaca del Santo, attribuito “all’ombra” protettiva e benefica per quel “fuoco” detto appunto di Sant’Antonio che egli soccorreva e leniva. Spesso gli arti venivano lesionati per l’aggravarsi delle ulcere e delle putrefazioni e l’uomo per spostarsi necessitava di stampelle. Il bastone a Tau con cui il “Santo taumaturgo” veniva spesso raffigurato ne conserva la potenza e la memoria come necessità e come profondo significato di riferimento biblico. La Tau è infatti l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico quindi rappresenta “le cose ultime e il destino”. Inoltre ricordava gli Ebrei risparmiati dal morbo della peste quando elevato su tale croce il serpente per combattere l’epidemia diffusasi, si disse che chiunque gli avesse rivolto l’occhio sarebbe stato salvo.
In seguito in Francia dopo il Mille i monaci divenuti ospedalieri detti appunto Antoniani per la recrudescenza del male, vestirono di nero portando la luce celeste di una croce sulla spalla destra.
Tra le pietre del muro di cinta parrocchiale di Bardonecchia si trova ancora una pietra scolpita con la croce Tau dei monaci guaritori, probabilmente presenti anche in questo territorio come in tutti i luoghi di passaggio e di confine.
All’inizio della Valle di Susa esiste infatti ancora oggi, presente nelle sue vestigia, l’ospedale di Sant’Antonio di Ranverso. Di “Ranverso” appunto perché era posizionato a nord e non nel verso diritto del sole. È questa la sola risposta di scelta geografica di altissimo intuito ed esperienza ospedaliera, basata su di un’elevata spiritualità di comprensione, che solo la fede può dare.
Questi indizi parlano quindi di un rapporto tra il territorio di Melezet e di Bardonecchia e della valle confermando oltre agli intenti, il periodo dell’esecuzione di entrambe le pale d’altare.
Giuliana Schlatter Gorrini