10/02/09

Don Vachet (2008)

(indagine ...ritardata di un crimine)
(2ª parte -La  Parte prima - sul Bollettino 2007)

Abbiamo trattato, nel Bollettino Parrocchiale dello scorso anno, dell’efferato, inspiegabile ed irrisolto delitto che portò alla morte del settantaquattrenne parroco di Bardonecchia don Giuseppe Maria Vachet, trafitto da 11-12 stilettate al fianco sinistro nella sua stanza da letto, la notte del 20 agosto 1868. In quella puntata, come in questa, si fa’ spesso riferimento a fatti comprovati da documentazione certa che non trova spazio sufficiente in queste pagine ma che è reperibile e consultabile in originale negli archivi della Parrocchia o in quelli della biblioteca vescovile di Susa. Si diceva delle difficoltà incontrate da don Vachet nel realizzare la nuova chiesa; queste difficoltà sarebbero vieppiù aumentate per quel che riguardava la successiva manutenzione se le autorità ecclesiastiche, alquanto previdenti, non avessero creato un sistema per ricavare denaro. Infatti già dal 475 d.c. Papa Simplicio prima e successivamente Papa Gelasio I (499) introducevano l’istituto della  fabbriceria,  organo che amministrava il patrimonio di una chiesa, per la conservazione e manutenzione del manufatto (la  fabrica ecclesiae ) e per le spese del culto. (Non si pensi che fosse un ente di poco conto, infatti era provvisto di un consiglio di amministrazione nominato, d’intesa con l’autorità ecclesiastica, dal Ministro dell’Interno e dal Prefetto, col divieto,  all’art. 29 , di ingerirsi nei servizi di culto . L’attivo era costituito dalle donazioni di privati, dalle rendite di immobili e terreni, dal ricavato delle messe dedicate e quant’altro. Nel 1875, set te ann i dopo la scomparsa di Don Vachet, Don Tournoud Jean Baptiste, suo successore, redigeva una minuziosa statistica del patrimonio parrocchiale conservato negli archivi). Si tenga presente che all’epoca non esistevano banche in questi piccoli paesi, per cui le fabbricerie ne svolgevano ufficialmente le funzioni, anche se in un modo tutto particolare.




Basta dare una occhiata al seguente documento redatto, Don Vachet vivente, l’8 dicembre 1860: vi si certifica un prestito fatto a tal Guy Gian Francesco di lire 130, (un migliaio di euro attuali) per un anno senza inteessi, e con l’interesse del 5% dopo il detto termine. Senonché il sig. Guy non onorò il suo debito, costringendo il successore di Don Vachet a rivolgersi alla regia pretura di Oulx per l’esazione forzata. Ma già dal 1829 lo stesso Don Vachet, in qualità di procuratore della confraternita della Chiesa, non essendo ancora costruita la nuova chiesa ed istituita la relativa fabbriceria, era costretto a rivolgersi al Giudice per l’esazione forzata di un prestito di lire 26,5 (circa 800 euro di oggi) a tal Ippolito Giorgio Ponchier fatto dalla stessa confraternita.
Il 29 novembre del 1848 un personaggio singolare fa la sua comparsa sulla scena di Bardonecchia:  Loquis Francesco ; lo si desume da un verbale dell’Ufficio Elettorale per la nomina dei consiglieri comunali, presieduto da Don Vachet, dove il Loquis risulta scrutatore. Di probabili origini Exigliesi dove tale cognome era abbastanza diffuso, svolgeva la funzione di ricevitore delle Regie Dogane del luogo. Senza dubbio di buona istruzione ma... di gola molto profonda. Infatti dal 31 dicembre 1848 cominciò a tempestare il Vescovo di Susa Mons. Giovanni Antonio Oddone di lettere, regolarmente firmate, dove riferiva a suo modo sulla vita di Bardonecchia e soprattutto sul costume dei suoi parroci, senza salvare nessuno e Don Vachet in particolare.

Queste lettere esistono in originale nell’archivio vescovile di Susa, alcune di esse, le più interessanti, sono state riprodotte in fotocopia ed asseverate agli archivi parrocchiali. Nella prima, del 31 dicembre 1848, si parla di malcont ento della popolazione vessata e raggirata, che dimostra contro i parroci dei luoghi che «frequentavano le bettole ...»  [...]; auspica che il parroco venga « tolto da questa cura al più presto per evitare maggiori scandali, più si prendesse seco il tanto più bravo Vicecurato (?!) ...».
Tace delle « mere calunnie»  fattegli dal  «Parroco di Millaures»  unitamente a quello « del Melezet ...»  [...] .  Infine, di tutto quel che afferma, si dichiara « pronto a darne le più ampie prove»  tra le quali « dugento e più sottoscrizioni».
Sulle missive del Loquis al Vescovo è scritto  «confidenziale» con la raccomandazione di non divulgarne l’autore, ben presto rivelato ai signori parroci i quali fanno sapere al Loquis che per loro è un gioch etto farlo trasferire, come hanno già fatto con l’Intendente. Di fatto lo fecero, scrivendo un rapporto firmato da tutti, all’Intendente della Provincia ed ai superiori. Ma il Loquis non demorde, rincarando per contro la dose, nonostante Don Vachet avesse minacciato di « dar mano allo schioppo» ( quindi ne possedeva
uno!) [...] .

Si era dunque ai ferri corti e la lite, se così si può dire, oltre ad essere di dominio pubblico, rischiava di andare davanti le Autorità Giudiziarie.
Nell’ultim a missiva al Vescovo, il Loquis esibisce una petizione « firmata da ben 170 Capi di Famiglie, per le quali si conosce ... di qual pasta si sia il detto Curato di Bardonecchia». Non si ha notizia del seguito di questi fatti; il Loquis fu certamente trasferito mentre i parroci rimasero al loro posto; ma questi accadimenti furono mai portati a conoscenza degli inquirenti che indagarono sul delitto di Don Vachet? Non è dato saperlo, quindi la relazione sull’omicidio fatto al Vescovo di Susa (o meglio al Vicario Capitolare Monsignor Giuseppe Sciandra di Mondovì, in assenza del Vescovo) dal parroco di Melezet Giò Antonio Allois, (in originale presso l’archivio vescovile di Susa ed in riproduzione fotostatica in quelli parrocchiali), resta l’unico documento a nostra disposizione che potremo analizzare.
Dopo il dispaccio telegrafico fatto a Susa il 21 agosto 1868, due giorni dopo don Allois relaziona dettagliatamente al suo Vescovo quanto di seguito.
«...  venne svaligiato ed ucciso nella propria stanza da letto con undici coltellate al fianco sinistro anteriore ed alcune contusioni al capo».  E più avanti « ... col capo presso la porta e rivolto al lambris     (rivestimento in legno)  della stanza ... la camicia punteggiata di sangue senza la menoma fissura di coltello ... il letto e le vesti solite del sig. Parroco intatte al solito luogo vicino».
Questa dettagliata descrizione merita molte riflessioni: – don Vachet conosceva i suoi carnefici, anzi doveva essere in molta confidenza con loro tanto da riceverli in camicia da notte, prima di andare a letto;
– i suoi carnefici, per contro, conoscevano molto bene quella casa ed i suoi occupanti, cioé un parroco armato di  schioppo  che mai avrebbe adoperato contro persone conosciute e soprattutto una perpetua  anziana e completamente sorda;
– fu prima stordito con un colpo al capo, successivamente pugnalato a terra al fianco sinistro da mano mancina, poiché non c’era spazio fra il corpo a terra privo di sensi e la parete, per agire frontalmente;
– la mano sacrilega volle infierire in maniera crudele, sollevando la camicia (da notte) e pugnalando a pelle nuda, il ché nella mente dell’assassino doveva avere un particolare significato vendicativo.
–  «... il dottor Peyron assistito dal farmacista Berruti procedevano all’autopsia ... donde risultò la perfetta conservazione delle parti tutte dello stomaco e visceri, se non fossero lese da alcune  stilettate  che attraversarono il cuore e  fegato » .
– All’inizio della relazione si parla di coltellate mentre come si è visto successivamente si fa riferimento a  stilettate;  in effetti mai si parlò dell’arma del delitto, quantomeno del suo ritrovamento; la confusione fra coltellate e stilettate è dovuta proprio all’arma usata, con tutta probabilità la baionetta di un fucile da guerra, forse lo stesso  schioppo  che Don Vachet diceva di possedere,  souvenir di una gioventù passata da militare nella Grande Armata napoleonica.
– Furono constatate lesioni al fegato, che per le scarse cognizioni anatomiche di chi scrive risulta trovarsi sul lato destro, da colpi inferti dal lato sinistro del corpo, cosa possibile solo se l’arma di che trattasi fosse stata molto lunga ed affilata come una baionetta.
La vittima ebbe tuttavia il tempo di gridare aiuto. «Verso le undici e tre quarti ... udissi dal vicino guardiacanale Goria qualche voce confusa (al soccorso, au secours)»...  ed ancora  «l’orologio della stanza parrocchiale, che venne dislocato dal camino», ...  e poi  «I titoli e cedole della fabriceria parrocchiale non furono derubate ( erano inesigibili)  ma il resto svanì. Tutte le carte, pieghi e quinterni ... furono messi sottosopra e lasciati sparpigliati attorno».
Quindi ne fu fatto del trambusto «... senza che la vecchia serva Catterina se ne accorgesse menomamente, mentre dormiva saporitamente al gabinetto terreno con volta».
– Quale mai estraneo poteva conoscere l’assoluta sordità della perpetua da ignorarla completamente prima, durante e dopo la delittuosa spedizione?!
– Cosa mai cercavano gli intrusi da manomettere tutte le carte dopo aver trovato il poco danaro liquido?!  «... del poco denaro rubato (dicesi L. 500 danari, e L. 2.000 cedole, capitale)»  circa 1.800 euro mentre le cedole ammontavano ad oltre 7.000 euro attuali.
Il frastornato e devoto don Allois conclude: «... egli morì povero qual visse frugale col tenuissimo reddito annuale della parrocchia che gli fruttava L. 1.500 ...».
L’anno 1865, tre anni prima della sua morte, don Vachet aveva rifatto il testamento, annullandone uno olografo e depositandolo in forma pubblica a mani del regio notaio Antoine Agnés, testimoni George Folcat, Hyppolite George Francou, Joseph Mathieu Bompard, Paul Francois Pellerin. Con questo documento dona:
– una cedola al portatore della rendita annuale di 20 lire alla fabbriceria della Parrocchia per le Messe perpetue in suo suffragio;
– duecento lire nuove a suo nipote Michel Antoine Orcellet figlio di Jean Antoine;
– cento lire a Josefhte Lantelme fu Alexis moglie di Daupin Grand del Melezet;
– per tutti gli altri beni, mobili, immobili, diritti, azioni, ragioni e pretese nomina erede universale suo nipote Jean Francois Vachet fu Jean Baptiste;
– rifiuta, a richiesta del notaio, di lasciare alcunché al Bureau de Charité del luogo, all’Ospedale dei Santi Maurizio e Lazzaro di Torino. Ma i nipoti erano quattro, quindi qualcuno rimase a bocca asciutta!
Il 20 novembre dell’anno successivo al decesso di Don Vachet, suo nipote Jean Francois Vachet fu Jean Baptiste, erede universale della successione, con atto privato di quietanza in bollo, ne eseguiva le disposizioni testamentarie mediante le quali i nipoti:
– Joseph Orcellet fu Jean Antoine, nipote di Don Vachet, mescolando franchi e lire nuove, mera questione lessicale, accusava ricevuta di 200 franchi; da notare che questa donazione non era stata disposta nel testamento, ciò fa pensare che l’esecutore testamentario li aggiunse di tasca propria, a che titolo?!
– a Michel Antoine Orcellet fu Jean Antoine 200 franchi;
– a Josephte Lantelme fu Alexis 100 franchi.

L’atto di che trattasi è conservato presso gli archivi parrocchiali, così come il testamento in originale, per gentile concessione dei diretti discendenti Ida e Marco Vachet, ai quali va il nostro ringraziamento per la copiosa documentazione messa a disposizione. Un doveroso ringraziamento al dr. Andrea Zonato ed alla d.ssa Laura Gatto Monticone dell’archivio vescovile di Susa, ad Orazio Petrera della Cancelleria del Tribunale di Susa, a Don Paolo Di Pascale che nonostante i mille impegni ha trovato qualche briciola di tempo da dedicarci e a Don Franco Tonda, benemerito parroco, per gli archivi parrocchiali messi a disposizione.
« ... un arresto preventivo fu eseguito, ma non sarà il colpevole e d’altra parte dubbi assai fondati fanno credere che gli autori delinquenti saranno forestieri ...».  Fosse accaduto verso le due o le tre della notte ci si poteva credere, ma le «undici e tre quarti»  non era ora di delinquenti occasionali per cui, alla fine di questa indagine ... ritardata rimane l’interrogativo vecchio di 140 anni: chi assassinò Don Vachet ?
 Nastà

(Non ho pubblicato tutti i documenti stampati sul Bollettini 2008 per via della scarsa qualità della loro riproduzione - Il redattore del Blog)

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Due righe, a conclusione dello studio appassionato e completo che l’Autore dell’articolo ha dedicato alla tragica morte di don Vachet, cercando di sciogliere l’enigma che l’avvolge. Non vogliono togliere nulla alla sua fatica, suffragata da tanti documenti d’epoca che ha ricercato con molta pazienza. Esse vogliono unicamente contrapporsi alle accuse infamanti che un certo Sig. Loquis rivolgeva contro don Vachet, dipingendolo come persona dedita al vino e dalla vita morale non ineccepibile.
Prendiamo la testimonianza dei suoi funerali dove è detto chiaramente che tutto il paese, al di là della commozione suscitata dalla sua morte, partecipò al funerale con visibili segni di dolore e di rimpianto. Il canonico Edoardo Giuseppe Rosaz (poi Vescovo di Susa ed oggi Beato!) nella omelia funebre lo paragonò al «Buon Pastore che ha dato la vita per le sue pecorelle» e il suo sangue «come quello dei Martiri, seme di nuova vita cristiana».
Potremmo citare ancora varie frasi dei suoi scritti dove traspare uomo di fede che si manifesta in espressioni non convenzionali, come la gioia di poter recare il Ss.mo Sacramento nella nuova chiesa non ancora ultimata.
Tanto basta per illuminare la vita di un sacerdote a cui Bardonecchia deve molto e, del resto, alle gravi calunnie del Loquis (dettate da malanimo o da velenoso anticlericalismo) il Vescovo non ritenne di dover rispondere, perché non ne aveva trovato alcun fondamento. E Mons. Giovanni Antonio Oddone era uomo attento, intelligente e presente alle realtà della sua Diocesi.

L’Autore dell’articolo è a disposizione per approfondire l’argomento di questo suo lavoro di ricerca, e la documentazione completa dei fatti si trova in originale nell’Archivio Vescovile di Susa e in copia nell’Archivio della Parrocchia di Bardonecchia.   (N.d.R).

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