10/02/09


L’ANGOLO DELLA CULTURA

L’abate Baruffi e la festa di Sant’Ippolito

Uno dei personaggi che molto contribuì a provincializzare lo Stato sabaudo fu sicuramente il monregalese abate Baruffi, docente presso l’Università di Torino, il quale si occupò oltre che di filosofia, anche di letteratura, storia e scienze naturali.
Ritratto di Luigi Des Ambrois de Névache.
Dal 1834 viaggiò molto attraverso paesi come: Olanda, Austria, Ungheria, Egitto e Turchia inviando un resoconto sottoforma di lettere alla “Gazzetta Piemontese”; le lettere vennero poi raccolte in tre volumi stampati nel 1841. Molte furono anche le “passeggiate autunnali” nei dintorni di Torino.
Durante una di queste “passeggiate” nell’agosto del 1861 l’abate si recava in alta Val Susa, ospite a Oulx del cavaliere Luigi Des Ambrois de Névache, per visitare i lavori del traforo e «presentare una relazione sullo stato presente di quest’opera gigantesca al congresso scientifico di Francia, che doveva aprirsi il 16 del prossimo mese di settembre nella città di Bordeaux»
«Il caldo estremo e prolungato eccessivamente aveva fatta quasi deserta la città di Torino, sicchè si correva oltre il consueto della stagione in cerca di aure fresche e trovai i vagoni della strada ferrata pieni zeppi di torinesi e di viaggiatori. Da Susa a Bardonnêche sedeva meco nel  coupé  della diligenza un vecchio belga oltre ottuagenario e molto allegro, il quale aveva lasciato pochi dì prima Bruxelles per correre ad abbracciare ancora una volta un vecchio amico compaesano, addetto ai lavori del traforo delle Alpi.


Il calore eccessivo, il sole che pareva voler abbruciare la carrozza co’ suoi raggi, e la gran nube di polvere che ci avviluppò costantemente, non mi concessero di goder del piacere delle variate in questa curiosa strada montanina»
Il viaggio da Torino a Susa, avveniva lungo la strada ferrata, inaugurata nel maggio del 1854, e offriva interessanti digressioni come un’amena ed istruttiva passeggiata alla Sagra di San Michele, ai laghi d’Avigliana, a Susa coll’Arco d’Augusto e le rovine della Brunetta, «… colle sue leggende e tradizioni storiche e col bel paesaggio, somministra ampia materia di visite, di studi, di riflessioni d’ogni maniera … Simili piaceri colti in un bel giorno di primavera o d’autunno, due stagioni ugualmente poetiche, la prima ricordando le speranze, e la seconda le rimembranze della vita, sono dolcissimi e si possono quasi moltiplicare a piacimento, ripetendo simili escursioni colla compagnia simpatica de qualche colto e lieto amico».
Una volta giunti a Oulx il viaggiatore poteva proseguire il viaggio in diligenza fino a  Briançon  oppure con la carrozza del corriere in un’ora e mezza circa si poteva giungere alla stazione del traforo di Bardonecchia e quindi un viaggio da Torino a Bardonecchia durava ben sei ore e trenta minuti!
L’abate parlando di Bardonecchia la descrive come un borgo di 1.084 abitanti, 187 case e 211 famiglie, tutti dediti prevalentemente alla pastorizia, all’allevamento del bestiame e al traffico di legname, un insieme di genti «… tuttora (sic) oneste e quasi vergini»  ma animata ora da un grande fermento di uomini e macchine, nuovi complessi abitativi come le “case rosse” , per i tecnici dei lavori, case per gli operai, magazzini, un gasometro che fanno presagire «una gran città nascente e sorprendono per il loro complesso, pel movimento e per la situazione a’ piè di altissime montagne» .
I cantieri che Baruffi vede sono ancora in fase di rodaggio perché soltanto cinque compressori su dieci funzionano per otto ore al giorno con soli 24 addetti alla perforazione, mentre quando tutti i compressori funzioneranno a pieno regime per 24 ore al giorno ben altri saranno i tempi di avanzamento. Interessante è
altresì il fatto che l’abate ci indichi casa di Oulx dell’ex-ministro Des Ambrois come il punto di riferimento per i notabili del regno in visita al traforo e dove era stato installato un telegrafo per tenere costantemente informato il conte Cavour sull’andamento dei lavori .
La visita dell’abate in alta valle coincide con la festa di Bardonecchia che così viene descritta: «Ricorrendo la festa di Sant’Ippolito (martedì 13 agosto) patrono del borgo, trovai l’intiera popolazione in abito festivo e versata nelle vie e sulla piazza. I vecchi del paese vestono ancora l’abito corto, tutto in lana, calzette bianche e portano il  codino . Su d’un gran cartello a stampa, affisso all’albo pretorio, leggevasi il seguente invito:  Occorrendo la festa dell’Assunzione in Giaglione, il giorno 15 e16 agosto, avrà luogo in detti giorni ballo pubblico con musica scelta». Da queste poche righe si evince l’immagine di una Bardonecchia ancora legata agli antichi rituali, lontana dalla modernità che la ferrovia e il traforo del
Frejus porteranno.
L’apertura del tunnel significò per Bardonecchia la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova epopea con nuovi mestieri (doganieri, ferrovieri, albergatori…) con un nuovo assetto urbanistico e la nascita del “Borgonovo” nella zona della stazione ferroviaria e delle case per gli operai del cantiere, Negli anni a venire Bardonecchia scoprirà la propria vocazione come stazione climatica e di villeggiatura. Non dimentichiamo che in quegli anni vi è la nascita dell’alpinismo moderno e della montagna come luogo di scoperta di spazi inesplorati dove «L’esplorazione diventa allora occasione di chiarificazione e ridefinizione dei contorni della persona e, attraverso l’osservazione di un mondo che passa davanti
agli occhi, permette il raggiungimento di una diversa consapevolezza di sé»
In tale contesto Bardonecchia facilmente raggiungibile con il treno e circondata da vette inesplorate e innominate diviene meta ideale di alpinisti prima e poi con l’avvento dello “Ski”, di turisti alla ricerca di sport, divertimento e mondanità.
La Bardonecchia del traforo ferroviario verrà celebrata in un grandioso Bogorama  dal titolo “Bardoneccio-Suez-Bogorama”. Si trattava di uno spettacolare padi- glione eretto in piazza Castello, sul retro di palazzo Madama, sulla cui facciata, alta 10 metri, era dipinta una sfinge, che nascondeva un enorme panorama dipinto su una tela lunga 120 metri e alta 3, che illustrava le visioni dalle Alpi al Cairo e poi la riva sinistra del Nilo sino alle rovine del tempio di Tebe. «A detto tempio fanno capo i sacerdoti del  Bogo , con leggiadra finzione degli artisti, quasi a chiudere le variate e dilettevoli vedute, cui piacevolmente vollero chiamare Bogorama » .
L’opera venne realizzata su un progetto di Casimiro Teja, al ritorno da un viag- gio in Egitto, dai pittori Francesco ed Enrico Gamba, Cerutti, Perotti, Barucco, Pastoris e dal neo-socio del “Circolo degli Artisti” e “Cavaliere del Bogo” Tommaso Juglaris.
Il “Bogorama” rappresentò non solo una prima forma di pubblicità per Bardonecchia e la Val di Susa, ma anche il legame ideale fra il Frejus e il canale di Suez, la cosiddetta “valigia delle Indie”, da Londra alle Indie orientali attraverso due opere titaniche che rappresentavano, agli occhi delle genti di fine ‘800, la
possibilità di vedere finalmente a portata di tutti il viaggio dal nord Europa “verso la cuna del mondo”, verso l’India: due utopie tecniche avevano coronato l’incontro di due mondi lontanissimi.
Al di là delle visioni e dei sogni evocati dalle grandi costruzioni ottocentesche e della ventata di modernità portata dal “progresso” la festa patronale di Sant’Ippolito si celebra ancora oggi con un rituale non dissimile da quello visto dall’abate Baruffi: i priori, gli antichi costumi, la Messa solenne con il Sindaco e il Consiglio Comunale, le feste e i giochi per i bambini…
La festa patronale quindi si pone non solo come la ripetizione di un’antica usanza quanto piuttosto come un’ occasione per non dimenticare le proprie radici in un momento in cui la modernità ha investito il territorio alpino, soprattutto quello con valichi che danno accesso a territori oltralpe, lacerandone l’identità e il tessuto sociale ed economico.
In ultima analisi vale la pena di ricordare le parole con le quali Des Ambrois chiude nella “Notice sur
Bardonècche” la parte dedicata al traforo del Frejus: «Il paese ha perduto la sua poesia, ma l’afflatto potente di un grande progresso della civilizzazione e dell’industria umana vi ha impresso una vita nuova, e in questi luoghi un tempo solitari si realizza una delle opere che onorano il genio e l’audacia dell’uomo»  … e forse non è peregrino pensare che il ricordare la festa di Sant’Ippolito ogni 13 agosto sia un modo per non perdere completamente la ”poesia” di Bardonecchia.

 Roberto Borgis

Il testo, Pellegrinazioni e passeggiate autunnali nell’anno 1861 , dell’abate Baruffi mi è stato gentilmente messo a disposizione dal dott. Marco Albera.