08/08/11

2010 ATTUALITA - Attacco al Papa scomodo?

Vorrei offrire qualche riflessione su Benedetto XVI, visto da Roma. Sono pensieri nati anche da quanto si sente dire in giro, dalla gente, persino per le strade o nelle case di Bardonecchia.

Fino a qualche anno fa soltanto, non l’avremmo neppur potuto immaginare, perché mai un Pontefice era stato sottoposto ad una tale raffica di critiche, insulti, condanne, minacce addirittura. Almeno in modo così plateale. I bravi vaticanisti Andrea Tornielli e Paolo Rodari, in un bel libro: “Attacco a Ratzinger (accuse e scandali, profezie e complotti contro Benedetto XVI)” pubblicato da Piemme (2010), hanno fatto il punto della situazione e, mettendo tutte le cose insieme, c’è da restare vivamente colpiti. Per esempio, per quanto riguarda i casi di pedofilia emersi, a partire da alcuni Paesi come l’Irlanda, la Germania, l’Austria, con vicende tristi e vergognose. In questo contesto opinionisti e media hanno tentato di orientare tutta la responsabilità su Benedetto XVI, addirittura sui trascorsi di Joseph Ratzinger come Arcivescovo di Monaco e su suo fratello mons. Georg. Proprio quando il Pontefice, con una lettera coraggiosa e chiarissima, senza precedenti nella storia della Chiesa, stava procedendo alla “purificazione” delle Diocesi in mezza Europa. Un documento che dimostra la determinazione con cui il Papa affronta la deriva morale, culturale e spirituale che ha colpito una parte del popolo cattolico, atta a recidere le cellule maligne che hanno infiltrato la Chiesa negli ultimi 50 anni. E forse è proprio questo tentativo, il pericolo che si vuole esorcizzare.
«Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò
 la mia Chiesa» (dal Vangelo). (foto: Archivio)
Nel libro sopra citato, che consiglio vivamente ai lettori di queste righe, in vari capitoli si trattano gli attacchi che in questi quasi sei anni di Pontificato sono stati rivolti al Papa, qualunque cosa dicesse o facesse. A cominciare dal caso “Ratisbona”, con la abusata citazione “politicamente scorretta”; alle nomine, poi cancellate, dei Vescovi di Varsavia e Ausiliare di Linz (Austria); al Motu Proprio contestato sulla Messa antica; alla trappola “negazionista” del caso del Vescovo lefevriano Williamson; alla questione del preservativo sollevato per le parole del Papa mentre si recava in viaggio in Africa; allo scandalo pedofilia già citato; ai casi di Padre Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo e del Cardinale Groer Arcivescovo di Vienna; alla Costituzione per gli Anglicani e al viaggio in Gran Bretagna, che avrebbe dovuto essere un gran fallimento (in realtà fu un successo evidente). Ed altro ancora, assemblato in trecento pagine che si leggono velocemente.

In tale contesto, proprio mentre leggevo il libro, mi hanno profondamente colpito le 76 parole di un Vescovo, trovate altrove (sul giornale on line L’Ottimista, in articoli di Antonio Gaspari) che desidero condividere con voi.



Di ciò che ha scritto il nuovo Arcivescovo di Trieste, S.Ecc.za Mons. Crepaldi, quasi nessuno ne ha parlato. Sono riflessioni profonde: «Non era forse mai accaduto che la Chiesa fosse attaccata in questo modo. Alle persecuzioni nei confronti di tanti cristiani, crocifissi in senso letterale in varie parti del mondo, ai molteplici tentativi per sradicare il Cristianesimo nelle società un tempo cristiane con una violenza devastatrice sul piano legislativo, educativo e del costume che non può trovare spiegazioni nel normale buon senso, si aggiunge ormai da tempo un accanimento contro questo Papa, la cui grandezza provvidenziale è davanti agli occhi di tutti».
«Pregate per me, perché io non fugga, per paura,
davanti ai lupi»(Benedetto XVI, 24-4-2005).
(foto: L’Osservatore Romano)

Fortemente impressionanti le parole con cui continua l’Arcivescovo di Trieste: «A questi attacchi fanno tristemente eco quanti non ascoltano il Papa, anche tra ecclesiastici, professori di teologia nei Seminari, sacerdoti e laici. Quanti non accusano apertamente il Pontefice, ma mettono la sordina ai suoi insegnamenti, non leggono i documenti del suo Magistero, scrivono e parlano sostenendo esattamente il contrario di quanto egli dice, danno vita ad iniziative pastorali e culturali, per es. sul terreno della bioetica oppure del dialogo ecumenico, in aperta divergenza con quanto egli insegna. Il fenomeno è molto grave in quanto anche molto diffuso».

L’Arcivescovo Crepaldi, però, va ancora oltre, sostenendo che «... c’è una divaricazione tra i fedeli che ascoltano il Papa e quelli che non lo ascoltano», una divaricazione «che arriva fino ai settimanali diocesani e agli Istituti teologici di Scienze Religiose» (dove studiano molti laici che poi vogliono insegnare religione) «... e anima così due pastorali molto diverse fra loro». Sulle conseguenze anche politiche di ciò, preferisco non entrare. Ammiro tanto la franchezza di questo Vescovo, in queste sue riflessioni che spingono, ancor di più, a mettersi dalla parte di Benedetto XVI.

Un Papa che avevano da subito bollato come “troppo intransigente” e che avrebbe distrutto decenni di dialogo ecumenico. Invece Benedetto XVI sta riuscendo a mettere insieme Cattolici, Protestanti e Ortodossi, nonostante secoli di scismi e ostilità, lavorando in modo chiaro e onesto, con rigore dottrinale, denunciando il relativismo morale. Per questo avrebbe dovuto, secondo gli opinionisti che parlano a vanvera, senza guardare i fatti, cancellare la possibilità del dialogo con il mondo moderno. Fatto sta che, a discapito di tanto clamore con cui avrebbero voluto farli fallire, in due viaggi difficili, come quelli nella laicissima Francia e nella avanzata Inghilterra, e nelle società più secolarizzate come nella Repubblica Ceca, la popolazione accorre, a volte in massa, ad ascoltarlo. I mass media inglesi, ad esempio, in occasione del viaggio in Inghilterra, avevano annunciato un clima di ostilità nei confronti del Papa, il cui ritratto veniva disegnato come quello di un “rottweiler”, un Papa “tedesco”, quindi rigido e ostile, che lancia sfide alle società liberali, come quella britannica. Invece, che cosa è successo? Fin dal primo incontro con la Regina Elisabetta II, Benedetto XVI ha conquistato il cuore dei Britannici, perché hanno scoperto di trovarsi di fronte ad un uomo completamente diverso da come era stato presentato.

I viaggi di Benedetto XVI non sono trionfi mediatici o suggestive adunate di folle acclamanti. Ormai lo sappiamo. Ma ogni volta, come bene ha commentato Davide Rondoni su Avvenire, sono: «un altro tratto del viaggio del Cristianesimo, che non attraversa solo la storia come se fosse solo un’idea da difendere, un messaggio fatto di parole e slogan da ribadire»...

Tratto di viaggio del Cristianesimo che produce “gioia e coraggio” se affrontato insieme al Papa. Fin dall’inizio, subito dopo il Conclave lampo, durato lo spazio di un giorno, Benedetto XVI, sapeva bene ciò a cui andava incontro. Lo confidò con quelle parole pronunciate nel giorno della Messa inaugurale del Pontificato, quel 24 aprile 2005: «Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi». Un viaggio quindi dove l’insidia si presenta continuamente come un percorso ad ostacoli.

Concludo queste povere riflessioni, sottoponendo alla vostra lettura la splendida pagina che si trova verso la conclusione del libro citato all’inizio del mio articolo, perché mi ha come inchiodato:

«Papa e Santa Sede che finiscono nel mirino. Ma si trova davvero nel mirino, Benedetto XVI? È davvero lui l’obiettivo ultimo delle campagne mediatiche?

O non è piuttosto lui, Papa Ratzinger, con la sua mitezza ma con la sua altrettanta chiarezza, “ad attaccare”?

Questa prospettiva, sorprendente, che capovolge criteri e interpretazioni, ci è proposta dal vaticanista francese Jean-Marie Guenois. “Più che un attacco al Papa, direi piuttosto che è partito un ‘attacco’ del Papa contro molti soggetti, portato avanti in un modo molto dolce, ma con una lingua precisa e affilata. La causa degli attacchi a Benedetto XVI va ricercata nell’attacco di Ratzinger a certi problemi: ad esempio sulla liturgia, ad esempio sull’importanza del rapporto fede-ragione ... Non è dunque, mi sembra, il Papa ad essere sotto attacco, è lui che ‘attacca’ in modo chiaro. Lo abbiamo visto anche nel caso dei preti pedofili: lui vuole purificazione e trasparenza, ma ci sono resistenze dentro la Chiesa. Dunque ritengo un falso problema l’affermare che Benedetto XVI sia sotto attacco, è una forma di vittimismo che non corrisponde affatto alla psicologia di Ratzinger. ... Non assume atteggiamenti demagogici, non ha paura. Gli attacchi, in fondo, sono soltanto un tipo di resistenza a problemi che ha posto”» (pp. 311-312).

Proviamo davvero a pensarci.

Don Claudio Iovine
<<>>
Cari fratelli e sorelle, tutti voi che siete qui, ciascuno per la propria parte: non sentitevi estranei al destino del mondo, ma sentitevi tessere preziose di un bellissimo mosaico che Dio, come grande artista, va formando giorno per giorno anche attraverso il vostro contributo. Questa Casa è uno dei frutti maturi nati dalla Croce e dalla Risurrezione di Cristo, e manifesta che la sofferenza, il male, la morte non hanno l’ultima parola, perché dalla morte e dalla sofferenza la vita può risorgere.

BENEDETTO XVI
(dal discorso nella Casa della Divina Provvidenza-Cottolengo a Torino - 2-5-2010)

Pubblichiamo a seguito dello scritto di don Claudio ampi stralci dell’articolo molto bello del bravo vaticanista Paolo Rodari che, se pure con piglio e linguaggio giornalistico, aiuta a capire meglio ed amare ancor più Benedetto XVI.


Il trionfo del Papa schivo

Dopo il trionfalismo carismatico di Karol Wojtyla, il pudore monastico di Joseph Ratzinger. Due stili diversi che rispecchiano due caratteri dissimili. Due stili che portano a un unico risultato: l’entusiasmo delle folle. (...) Di Giovanni Paolo II i fedeli applaudivano il gesto, la frase a effetto, gli slanci teatrali, a volte trascurandone quasi del tutto l’argomentare. Di Benedetto XVI seguono le omelie, tendono le orecchie durante i discorsi, ascoltano ogni parola con un’attenzione che sbalordisce esperti e analisti. (...)

Quale il segreto di Joseph Ratzinger? Quale la strategia comunicativa? Una sola: non avere strategie. L’ha spiegato lo stesso Pontefice sul volo che lo portava dieci giorni fa verso Edimburgo. Gli ha chiesto padre Federico Lombardi, portavoce vaticano: cosa possono fare i cattolici per rendere la Chiesa più attrattiva? Ha risposto il Papa: «Una chiesa che cerca soprattutto di essere attrattiva sarebbe già su una strada sbagliata, perché la Chiesa non lavora per sé, non lavora per aumentare i propri numeri e così il proprio potere. La Chiesa è al servizio di un Altro: serve non per sé, per essere un corpo forte, ma serve per rendere accessibile l’annuncio di Gesù Cristo, le grandi verità e le grandi forze di amore, di riconciliazione che vengono sempre dalla presenza di Gesù Cristo».

Ecco il segreto di Ratzinger – per molti “Panzer cardinal”, per altri addirittura “rottweiler di Dio” divenuto Papa: non volere attrarre nessuno. Piuttosto fare un passo indietro e mettere al centro della scena un Altro. È questo uno stile tutto suo e che, a dispetto delle mille e più strategie comunicative che spesso diversi organi ecclesiastici, dalla Curia romana alle varie Conferenze Episcopali fino alle singole Diocesi, cercano di adottare, s’impone con autorevolezza dirompente.

Lo stile del Papa è sobrio, soprattutto a contatto con le masse. Ogni appuntamento pubblico sembra per lui liturgia. E, infatti, fuori delle Messe, delle catechesi, delle Benedizioni, Benedetto XVI è un minimalista. «Il Papa non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza alla Parola di Dio», disse quando prese possesso della Cattedrale di Roma, la Basilica di San Giovanni in Laterano, il 7 maggio 2005. Un criterio che per Ratzinger è un programma di governo: di suo fa pochissimo, al centro della scena non c’è mai lui, ma l’essenziale, ovvero Gesù Cristo vivo e presente nei Sacramenti della Chiesa. (...) Benedetto XVI non compie gesti a effetto, non martella frasi roboanti, non incoraggia applausi e osanna. Si sottrae alle feste di massa. Ama arrivare agli appuntamenti pubblici solo per celebrare e predicare. Anche i viaggi hanno programmi strettissimi, quasi volesse fuggire dal superfluo, da ciò che va oltre lo stretto necessario.

Roma, piazza San Pietro, 16 ottobre 2005. Benedetto XVI incontra i bambini della Prima Comunione. L’appuntamento ha un programma singolare: prima il Papa risponde a braccio ad alcune domande, poi, sempre coi bambini, fa mezz’ora di Adorazione Eucaristica. C’è chi sostiene in Vaticano: «Un azzardo dopo anni di appuntamenti più somiglianti a festival musicali che ad altro». Il Papa arriva in piazza puntuale. Esce in Papamobile dall’Arco delle Campane. I bambini applaudono e urlano slogan. Il Papa saluta. Poi scende dall’auto e inizia a parlare. A poco a poco cala il silenzio. Il Papa insegna loro teologia. Un bambino gli domanda: «La mia catechista mi ha detto che Gesù è presente nell’Eucaristia. Ma come? Io non lo vedo!». Risposta: «Sì, non lo vediamo, ma ci sono tante cose che non vediamo e che esistono e sono essenziali. Per esempio, non vediamo la nostra ragione. Tuttavia abbiamo la ragione». Poi il silenzio si fa totale. Il Papa s’inginocchia innanzi all’Eucaristia. Tutti guardano oltre il Papa, verso dove lui guarda. In meno di un’ora l’attenzione di una folla sui generis – centomila bambini – è completamente catturata. Una scena, quest’ultima, rivista nell’agosto del 2005, durante la Giornata Mondiale della Gioventù di Colonia: il Papa che di colpo s’inginocchia innanzi all’Eucaristia. I ragazzi che si zittiscono e s’inginocchiano. Intorno un silenzio surreale che mette a disagio soltanto i cronisti delle varie tv e radio collegate. Per circa un’ora non sanno più che dire.



79

C’è un enigma che riguarda le folle di Benedetto XVI durante i suoi viaggi fuori i confini italiani. In questo enigma la folla inglese è la protagonista ultima in ordine di tempo. Ultima a fare che? A convertirsi al Papa. Dato in partenza sempre sconfitto, Benedetto XVI guadagna punti appena atterra sul suolo straniero. Guadagna sul popolo. Sulla gente che, a sentire i più, dovrebbe essergli ostile. E tutto ciò è un enigma. Un mistero che puntualmente si ripresenta.

I suoi quattordici viaggi all’estero hanno sempre capovolto le fosche previsioni di ogni vigilia. È avvenuto così anche nei luoghi più ostici. In Turchia nel 2006, negli Stati Uniti e in Francia nel 2008, in Israele e Giordania l’anno dopo. Ovunque colpisce la sua audacia. (...) C’è chi reagisce male alle sue parole, come tante e tante bufere mediatiche in questo Pontificato dimostrano. C’è chi si ribella e vuole arrestare il Papa per “crimini contro l’umanità”. Ma c’è anche chi si lascia ferire dal suo dire e inizia a seguirlo. Ci sono intellettuali che vorrebbero non parlasse più. Ci sono intellettuali che addirittura non lo fanno parlare, come il “caso Sapienza” dimostra. Ma ce ne sono altri – e le platee dell’Università di Ratisbona, del Collegio dei Bernardini a Parigi e del Parlamento di Westminster a Londra lo dimostrano – che dopo lo scetticismo iniziale non possono fare altro che alzarsi, in piedi e applaudirlo.

È quest’ultimo il pubblico più sofisticato di Benedetto XVI. Un pubblico tutto suo. Diverso dalle grandi folle. Spesso si tratta di circoli ristretti. Tutti plaudenti innanzi al teologo divenuto Papa. «Da Rottweiler di Dio a Pontefice più amato, il migliore», scrisse sul New York Times qualche mese fa, in piena tempesta mediatica per il problema dei preti pedofili, il trentenne conservatore Ross Douthat, opinionista tra i più puntuti degli USA. (...)

Ratzinger parla ai più umili e agli intellettuali, dunque. E a tutti dice qualcosa. Non ha strategie comunicative. Sembra preoccupato soltanto della verità, del contenuto del suo dire.

Un paio di anni fa è uscito “Ratzinger professore” di Gianni Valente, un libro contenente gli anni dello studio e dell’insegnamento di Ratzinger nel ricordo degli allievi e dei colleghi, anni che vanno dal 1946 al 1977. Ratzinger, si racconta, fu fin dall’inizio capace di catturare l’attenzione dei suoi studenti. Come? Introdusse un modo nuovo di fare lezione. Racconta un suo ex alunno: «Leggeva le lezioni in cucina a sua sorella Maria, persona intelligente ma che non aveva mai studiato teologia. Se la sorella manifestava il suo gradimento, questo era per lui il segno che la lezione andava bene». Uno studente di quei tempi dice: «La sala delle sue lezioni era sempre stracolma, gli studenti lo adoravano. Aveva un linguaggio bello e semplice. Il linguaggio di un credente». (...)

Questo è forse l’unico suo segreto ancora oggi: non mettere se stesso al centro della scena, ma qualcosa di grande oltre lui, il cuore della fede cristiana.

E poi, il segreto più importante: l’assenza di una strategia comunicativa. Ratzinger non cerca il consenso.

Pubblicato su “Il Foglio”, sabato 25 settembre 2010