10/08/11

Pala d'ALTARE dedicata a SANT'IPPOLITO e SAN GIORGIO (II Parte)

Interpretazione simbolica e storica della PALA D’ALTARE dedicata a SANT’IPPOLITO E SAN GIORGIO (parte Seconda)
Parte Prima (Bollettino 2009)

Proseguiamo la pubblicazione iniziata sul Bollettino dello scorso anno (cfr. 2009, pp. 126-129) dello studio compiuto dalla dott.ssa Giuliana Schlatter già nell’anno 2005, a seguito del restauro delle opere d’arte custodite nella nostra chiesa.

Le dimensioni dell’abbandono


Penetrando nel cuore del territorio si avverte la vuota dimensione dell’abbandono, in un clima di devastante solitudine così ben reso nella stesura del dipinto.
Il paesaggio di fondo è campito in diversi piani di profondità e di colore tramite i quali vengono mano a mano palesati i momenti più salienti di un popolo e della sua fede.
Dalle remote origini dunque d’insediamento della cristianità, attraverso testimonianze di fede e di martirio, vennero in seguito tempi più oscuri durante i quali le qualità della vita vennero offese e violate.
Particolare, dipinto sulla tela
del Retable dell’Altare Maggiore
Le ripetute devastazioni provocate dalle invasioni barbariche calate dal nord prima del Mille e in seguito dalle invasioni saracene provenienti dall’Oriente e tramite la Spagna sino a noi, si venne configurando sul luogo una situazione di grande precarietà.
Borghi in rovina, saccheggi e soprusi avevano distrutto poderi, bruciato chiese, spopolato villaggi. Le terre di confine erano così rimaste senza legge.
Tempi di fame e di abbandono, pur nella continua testimonianza di presenza e di assistenza monacale che – sostenendo col lavoro, il pane e la preghiera il singolo e il popolo – venivano a rappresentare l’unica fonte di sostentamento spirituale e fisico.
Particolare, dipinto sulla tela del Retable dell’Altare Maggiore
In seguito, nello scorrere del tempo, attraverso gli snodi fondamentali dell’età carolingia la vita si era andata riscattando, riappropriandosi dei propri diritti di fede e di territorio alla luce della dignità di una nuova cultura.


Ma smembratosi poi l’impero carolingio nelle divisioni di successione, si arriverà ad una frantumatura degli schemi sociali basati su temi di vassallaggio mentre grandi potenze dinastiche e pontificie si andavano affermando.
I diritti del popolo passavano frattanto dai Comuni alle Signorie, dalle contee ai ducati ai marchesati, mentre la cavalleria di nobiltà o di ventura viveva di spada attraversando territori ora difesi ora depredati.
Fu poi tempo di Crociate e di reiterate invasioni musulmane, di conquiste e di morte.
Fu tempo di pellegrinaggi al passaggio dei quali si andavano battezzando luoghi e contrade come tra questi monti nel ricordo di nomi sacri come il Tabor e i Re Magi.
Furono i monaci Templari ad assisterne il cammino; Chiomonte ne fu sede ospedaliera. Veniva suonata all’imbrunire una campanella per molti la “Smarrita”, a riferimento a chi lungo il cammino si fosse perso nel buio o per la fatica. Fu in queste valli che i monaci di guardia si mettevano in moto al calar del sole lungo i sentieri e nel fitto dei boschi, per un’opera di assistenza e di soccorso.
In fondo valle monaci ospedalieri ospitavano e accoglievano malati pellegrini o stanziali vittime di malattie endemiche o di contagio. Nell’orrido di Foresto gli appestati, isolati dal popolo nell’orrore del contagio, aspettavano la morte prima di essere gettati nelle acque del torrente sottostante.
Poi nell’avvicendarsi dei tempi le successive riforme “Cistercensi” si dedicheranno a promuovere un maggior sviluppo terriero; tali esperienze innerveranno nuovamente la ripresa dell’economia e quindi anche dello sviluppo demografico.
Venuti da Cîteaux attraverso la Francia ispirati da San Bernardo, monaco d’impronta benedettina, si erano mossi portando con sé “zappa” e “Vangelo” in un continuo esperire di migrazioni e stazionamenti.
L’importante innovazione da loro portata fu la sostituzione della zappa di legno con la zappa di ferro che andavano distribuendo a chi avesse voluto dissodare la terra da così gran tempo abbandonata. Anche l’aratro, sino allora solo di legno, venne ferrato. Venne poi nel contempo la ferratura delle botti, producendo in tal modo qualità migliori di vini anche da esporto. Si vennero pure a ferrare i cavalli con grande vantaggio delle comunicazioni e del commercio. Fu d’allora, poco dopo il Mille, che il ferro di cavallo venne considerato un portafortuna sino ai giorni nostri.
Come sappiamo, l’editto di Nantes promosso attorno al Mille aveva proibito il taglio dei boschi in quanto unico sostentamento dell’uomo, dopo le devastazioni barbariche subite che avevano reso i campi incolti, distrutte le canalizzazioni, divelti i fondi stradali. Il bosco, infatti, rimaneva per l’uomo di quel tempo l’unica zona di proventi, di pascolo sicuro. Il bosco produceva legna, frutti, castagne e ghiande, “il pane di legno” dei tempi di carestia.
Era territorio di caccia e di rifugio sicuro. Fu proprio tramite l’opera dei Cistercensi che avvenne a poco a poco il disboscamento a favore della terra attraverso una nuova, capillare attrezzatura agraria.
Non ultima fu l’esperienza della “vita nuova” dei conversi laici che condividevano la vita monacale, venendosi così gradatamente a sviluppare anche un processo di alfabetizzazione delle genti.
Si produssero terrazzamenti per le viti, gli impianti dei quali vediamo ancora lungo le valli, appoderamenti per la semina dei cereali venendosi a formare quelle cosiddette “terre da pane” che insedieranno l’uomo sul luogo nella vita e nella fede là dove l’esistenza era stata a lungo negata.
Innovazioni nel modo di abitare, conseguenza di un preciso sentimento d’identità giunsero in questo modo a costituire nuovamente una vera e propria cristianizzazione dello spazio.
Di loro, i Cistercensi, e di quell’epoca, rimane a testimonianza in tutta la valle lo svettare dei loro alti affusolati campanili. L’alta guglia composta da otto lati rappresenta nell’alto dei cieli la simbologia del “nuovo giorno, l’ottavo”, simbolo del Battesimo, mentre ai lati i quattro pilastri testimoniano i quattro Vangeli capisaldi del credo cristiano.
Si veniva così a manifestare tramite la presenza monacale anche in questo territorio lo stile cosiddetto “gotico” tramite l’impianto della più alta spiritualità possibile a partire dal rapporto con la terra.
I rinnovati insediamenti abitativi, la maggiore alfabetizzazione la migliore produzione agraria promuoveranno un aumento demografico e un più sviluppato commercio tramite una viabilità di denaro dalla pianure ai monti; attraverso i passi del Piemonte fluiranno risorse alle zone di Francia, in particolare Avignonesi, là dove la presenza pontificia e nobiliare assorbiva gran parte della merce in una vita di evidente munificenza.
Anche Bardonecchia, “borgo di strada” ai piedi dei passi attraverso le Alpi, potrà promuovere un mercato e in particolare di tessuti di lana, di pellami conciati e poi di vini. La storia tramanda che verso la metà del ’300, per aumentata temperatura del clima, per quasi quarant’anni, si poterono impiantare a queste quote viti su terrazzamenti esposti al sole, terreni che ancora oggi qui vengono chiamati “La Vigne” pur se nel tempo abbandonati e incolti.
Ma il nuovo fluire del denaro e, incredibile a dirsi, una maggior ricchezza distribuita tra i pochi superstiti delle reiterate recrudescenze della peste in tutta Europa, creò nuovi concentrati punti di potere economico, strategico, dinastico e religioso.
Fu allora che incominciarono a germinare in Francia delle correnti di protesta religiosa tra i ceti medi della borghesia e tra le file dei meno abbienti per una proposta laica di revisione della fede.
Già i Catari nei primi secoli dopo il Mille avevano promosso movimenti eretici di diversa “scelta”.
Sarà Wald, ricco mercante di Lione, che, lasciata la moglie e il commercio, andrà dividendo i propri averi tra i poveri, mettendo in moto un proselitismo laico anticattolico che si divulgherà passo a passo in tutta Europa.
Ma nell’ottobre del 1517, il giorno in cui Lutero apporrà alle porte della chiesa di Ognissanti di Wittenberg le sue novantacinque regole di riforma, in quel giorno stesso i principi di Baviera invaderanno le terre pontificie. Era la guerra.
All’inizio, nella realtà di tutti i giorni non ci si accorse che le cose andavano mutando. b Di casa in casa, di grangia in grangia, si andavano riunendo di nascosto all’imbrunire dei predicatori protestanti che, silenziosamente, si muovevano negando le tradizioni e i riti di sempre. Il popolo a sua stessa insaputa veniva a trovarsi in dolorosi, inevitabili schieramenti.
A poco a poco venne a interrompersi dunque l’ordinaria quotidiana frequentazione del sacro. I dissidi, le negligenze, le alterazioni di comportamento andarono mano a mano a produrre una grande, insanabile spaccatura sociale e religiosa, così ben rappresentata alla base del dipinto.
I dissidi della propria vita braccata dalle lotte e poi dalle guerre fratricide andranno ad aumentare di nuovo, in modo impressionante, l’abbandono dei terreni. Poi la fame, le epidemie, la peste più volte ripetutesi nel tempo, semineranno morte in tutto il territorio.
In tali tempi di carestia e di lutto avvennero molte usurpazioni di terreni e di case; gli edifici religiosi vennero invasi e dissacrati nel nome della “Riforma” alla quale avevano aderito anche i Valdesi nel 1526, istituendo un culto pubblico inaugurato ad Angrogna nel 1555.
È nel 1555 che i primi ministri protestanti con la Riforma vengono inviati da Ginevra in tutto il territorio alpino, a partire dalla Val Chisone, determinando così in tutte le valli la stabilizzazione delle forze armate Ugonotte.
La data del 1555 è ancora scolpita nella pietra di un portale ad arco tutt’ora esistente nel Borgo antico, a testimoniare la presenza ugonotta anche in Bardonecchia, dove nel 1574 la sua chiesa verrà distrutta.

Giuliana Schlatter

(fine seconda parte - continua)