02/06/10

Conferenze Estive (2009)

(Bollettino 2009)
Conferenze Estive
Oggi, 4 agosto 2009, nella nostra Parrocchia abbiamo avuto il dono di ascoltare la testimonianza di Adele e Valter Schilirò, i genitori del bambino la cui guarigione miracolosa ha consentito la Beatificazione di Luigi e Zelia Martin, i genitori di S. Teresa di Gesù Bambino. L’essenzialità del linguaggio e la fede viva con cui ci è stata comunicata questa esperienza ci hanno permesso, nello stesso tempo, di conoscere i fatti e di cogliere la presenza e l’opera di Dio attraverso di essi. Ripercorriamo allora le tappe principali di questa storia di  straordinaria quotidianità”, in cui anche i dettagli diventano importanti.
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La gioia della nascita del quinto figlio, Pietro, avvenuta il 25 maggio 2002, viene da subito turbata dalla notizia di una grave insufficienza respiratoria che necessita di terapia intensiva, con la conseguente impossibilità di stare accanto al bambino. La situazione nei giorni successivi si aggrava ulteriormente tanto che i genitori, di fronte al pericolo di vita per
Pietro, decidono di chiamare il sacerdote loro padre spirituale, che li sta accompagnando in questo momento così difficile, perché amministri il Battesimo. Durante il tragitto verso l’ospedale, questo sacerdote dà loro un’immaginetta dei coniugi Martin, anch’essi molto provati nella loro vita familiare (avevano perso quattro dei nove figli).

TESTIMONIANZA DI ADELE E VALTER SCHILIRÒ
Adele e Valter continuano ad essere sostenuti dall’affetto e dalla preghiera di parenti e amici, in particolare quelli della fraternità di Comunione e Liberazione di cui fanno parte. Anche la sera che precede il giorno dell’esito della biopsia polmonare, si ritrovano a pregare con loro, rassegnati ormai all’imminente ritorno in Cielo di Pietro. Ma durante la notte, ovviamente insonne, avviene una svolta molto importante. Anche alla luce della reazione di ribellione, che un’amica ha avuto la sera prima e che tutto subito è stata interpretata come un voler negare la realtà, nasce in loro un’intuizione nuova:
«Come figli di un Padre buono, che vuole solo il nostro bene, dobbiamo esprimerGli il desiderio del nostro cuore, che in questo momento è la guarigione di Pietro, pur senza la pretesa che Lui l’esaudisca ». 
Di qui, con determinazione rinnovata, da un lato, il ricorso all’intercessione dei genitori di S. Teresina, con la diffusione dell’immaginetta con la preghiera e la richiesta del miracolo; dall’altro lato, ai medici che, di fronte all’esito infausto della biopsia, dichiarano di non avere più nessuna speranza, l’invito a continuare ad aver cura di Pietro per quanto è di loro competenza perché “la speranza è riposta in Dio”. La situazione del bambino permane gravissima, ma la preghiera di tutti continua e il 13 giugno, durante una celebrazione comunitaria, inizia una seconda novena attraverso l’intercessione dei coniugi Martin. La mamma ricorda che in quel tempo ci si rivolgeva al Signore prima di tutto perché facesse luce sulla sua volontà, sul senso dell’esperienza che stavano vivendo. A questo proposito, un fatto molto importante riguarda una sorella della mamma che, non potendo essere presente, è vicina nella preghiera anche leggendo gli scritti di S. Teresina: aprendo il libro, trova questo brano di una lettera dell’8 settembre 1896, che i genitori di Pietro accolgono  come una risposta alla loro preghiera: «Sono incantata dal piccolo Bambino e colui che lo porta tra le braccia è ancor più incantato di me? Ah com’è bella la vocazione del piccolo Bambino! Non è una missione che deve evangelizzare, ma tutte le missioni. E questo come? Amando, dormendo, gettando fiori a Gesù quando sonnecchia. Allora Gesù prenderà questi fiori e, comunicando loro un valore inestimabile, li lancerà a sua volta, li farà volare su tutte le rive e salverà le anime, con i fiori, con l’amore del piccolo bambino che non vedrà nulla, ma che sorriderà sempre anche attraverso le lacrime! Un bambino missionario e guerriero che meraviglia!». Questo scritto è per loro una conferma e una chiarificazione di quella che già hanno vissuto come “la lotta” di Pietro; questo fatto – dice la mamma – è “il primo miracolo”, che dà loro consolazione e li aiuta a comprendere il senso di una lotta che è fonte di salvezza per le anime. Ed è anche “letto” come un messaggio per tutti: «Se è così potente davanti a Dio la sofferenza di un bambino inconsapevole, quanto più lo è la sofferenza offerta consapevolmente!». La situazione di Pietro nel frattempo non fa registrare nessun miglioramento e il 27 giugno il primario del reparto in cui è ricoverato convoca i genitori perché il loro figlio presenta crisi respiratorie tali da poter provocare il decesso; tuttavia non si recede dalla terapia in corso.
Ma il 29 giugno (Santi Pietro e Paolo), al consueto arrivo in ospedale, l’infermiera comunica ai genitori che è stato possibile, per la prima volta, ridurre la percentuale di ossigeno somministrata (da 100% a 70%). Nei giorni seguenti il miglioramento continua fino alla rimozione dei due drenaggi pleurici: Pietro riesce a  respirare spontaneamente e il 27 luglio viene dimesso senza nessun supporto respiratorio e in buone condizioni generali. I medici ovviamente sono esterrefatti, anche perché durante la degenza del bambino più volte si erano domandati se il loro non fosse un accanimento terapeutico. Durante il nostro incontro, è frequente, da parte di questi genitori, l’invito ad approfondire la conoscenza della vita e della spiritualità di Luigi e Zelia Martin così com’è successo a loro che, leggendo gli scritti, soprattutto le lettere, hanno scoperto il segreto di questa coppia e della loro famiglia: la forza della fede, il primato dato a Dio in ogni cosa, dal lavoro all’educazione delle figlie e alla carità, e anche il valore del matrimonio come via di santificazione reciproca. E gli ultimi due riferimenti sono riservati ancora ai coniugi Martin. Mamma Zelia, a cui all’età di 46 anni, è stato diagnosticato un tumore al seno, va in pellegrinaggio a Lourdes a chiedere la grazia della guarigione per poter continuare ad aver cura della sua famiglia (la maggiore delle cinque figlie ha 17 anni e la minore, la piccola Teresa, 4 e mezzo); quando, al ritorno, si rende conto che la grazia non è stata accordata e che il male avanza, non reagisce con amarezza o con ribellione ma con la fede di sempre e la convinzione profonda della presenza e dell’aiuto del buon Dio, come testimoniano alcune lettere: «Ci dobbiamo mettere nella disposizione di accettare generosamente la volontà di Dio, quale che sia, poiché sarà sempre quello che vi può essere di meglio per noi ... se il buon Dio vuole che mi riposi altrove che sulla terra...». E papà Luigi, a sua volta, rimasto solo, continua a vivere con forza e fede grande il suo compito educativo, trasferendosi da Alençon a Lisieux, dove le figlie godranno della vicinanza degli zii, e aiutando, con le parole, ma soprattutto con l’esempio, ciascuna di loro a riconoscere i segni della volontà di Dio per la propria (scriverà S. Teresa di Gesù Bambino riguardo a suo papà: «... non avevo che da guardarlo per   apere come pregano i santi»).
Marinella Geuna

SAN PAOLO DI TARSO: L’APOSTOLO DELLE GENTI
È in margine all’Anno Paolino, indetto da Benedetto XVI e fissato dal 29 giugno 2008 al 28 giugno 2009 che, in Sant’Ippolito, è stata programmata una Conferenza il giorno giovedì 6 agosto, con la presentazione di due relazioni: “La personalità di Paolo: prima e dopo l’incontro di Damasco”, del prof. don Nunzio Campo, Superiore della Comunità della Pia Società S. Paolo di Modena, e “San Paolo e la figura femminile”, della dott.ssa Anna Maria Tassone Bernardi, presidente dell’Associazione Theillard de Chardin e saggista. Il folto pubblico presente ha seguito, con visibile attenzione e interesse le due profonde, dotte e documentate  esposizioni.
Il primo intervento, del prof. don Campo, ha dipinto la figura di Paolo di Tarso, delineando il suo incontro con Cristo, sulla via di Damasco, che ha trasformato la sua esistenza.
«Cristo è entrato violentemente nella sua vita, l’ha come spaccata in due tronconi, di cui il primo si è inaridito all’istante e il secondo, per un prodigio di onnipotenza e di amore, ha germogliato in un terreno nuovo diventando albero gigante. Senza questa lacerazione, Paolo sarebbe rimasto Saulo, cioè il rabbino colto e intelligente ma rigido e astioso, chiuso nelle sue interpretazioni legalistiche. Quando nel cuore di Saulo ha “brillato” la luce della gloria del “Volto di Cristo” (2Cor. 4,6) e in lui egli ha riconosciuto “l’immagine” stessa del Padre (2Cor. 4,4), la “irradiazione della sua gloria” e “l’impronta della sua sostanza” (Eb. 1,3), tutto il suo amore furioso e geloso verso l’Iddio dell’Antico Testamento si è riversato in Cristo, con una intensità dilatata in proporzione della maggiore “benignità del Salvatore nostro Iddio” (Tito 3,4), manifestata nella  Incarnazione». «Paolo il nemico di Cristo, Paolo l’afferrato da Cristo, Paolo il cantore di Cristo. Dopo un intenso periodo di preparazione a Damasco, Gerusalemme, Tarso e Antiochia di Siria, si lancerà in una spasmodica attività evangelizzatrice che lo porterà a percorrere 7.800 chilometri a piedi e 9.000 in nave con i mezzi di comunicazione di quei tempi!». È impossibile riferire oltre, in quanto, per essere completi, bisognerebbe trascrivere il contenuto dell’intera esposizione.
I Servi di Dio Luigi e Zelia Martin, genitori di Santa Teresa di Lisieux.
Ha preso poi la parola la dott.ssa Tassone Bernardi, che già avevamo ascoltato e apprezzato in una precedente conferenza sulla figura di Theillard de Chardin. Oggi ci aiuta a riscoprire “la figura femminile nelle Lettere di San Paolo”. Nella sua premessa sottolinea con vigore che «l’apostolo, nel corso della sua opera di diffusione del Vangelo si era fortemente e fiduciosamente avvalso della collaborazione delle donne». Questo enunciato è sviluppato con una riflessione antropologica sul binomio “uomodonna” che dimostra l’integrazione tra loro delle due diverse nature... «Nel corso della storia della spiritualità cristiana ... in molte coppie di mistici vi è stato uno scambio dei rispettivi modi di sentire e agire ... il maschile e femminile è diventato stimolo reciproco alla santità ... Francesco e Chiara d’Assisi ... Benedetto e Scolastica, Angela  da Foligno e il suo confessore Arnaldo, Caterina da Siena e Raimondo da Capua, Giovanna de Chantal e Francesco di Sales, Giovanni Bosco e mamma Margherita con Maria Mazzarello...». Dopo queste precisazioni la conferenza entra nel vivo, sostenendo che «la missione di San Paolo è stata affiancata e sostenuta dall’apporto delle donne».
A seguito di interessanti citazioni attinte da Elena Bosatti, docente di Sacra Scrittura alla Gregoriana, la relatrice cita il nome di «Trifena e Tifosa, le due schiave che facevano parte della prima comunità cristiana elevate nella loro dignità dal battesimo ricevuto». Tanti altri nomi di donne si attingono dalle Lettere dell’Apostolo «... solo nel capitolo conclusivo della Lettera ai Romani sono nominate 10 donne e se ne contano ben 12 ... per le mani delle donne è passata parte dell’organizzazione della Chiesa nascente, dove le donne in quella chiesa domestica hanno esercitato il carisma dell’accoglienza (Col. 4,15) ... anche Prisca e il marito Aquila hanno accolto Paolo nella loro casa. (...) Il ruolo delle donne, oltre a ciò, è stato anche di vero apostolato. Paolo definisce Febe “nostra sorella che è diaconessa nella chiesa di Cencre” (Rom. 16,1); di grande dignità è rivestita anche Giunia “apostolo insigne”, riconoscendole un’importanza eccezionale... “e fu in prigione con lui soffrendo come lui per il suo apostolato” » (Ilaria Ramelli dell’Università Cattolica del S. Cuore). È fatto anche accenno alle frasi dell’Apostolo nelle quali è stata enfatizzata la convinzione che Paolo non tenesse in gran conto le donne, come, ad esempio «Le donne in assemblea tacciano, perché non è permesso loro di parlare» (Cor. 14,34- 35), oppure «la donna si copra il capo quando prega» (Cor. 11,13), dandone spiegazioni e motivazioni tratte dal contesto storico e ambientale nel quale queste parole furono pronunciate.
Come sopra accennato per l’intervento di don Campo, così, in questo tentativo di fare gustare la riflessione della dott.ssa Tassone Bernardi, non è possibile riportare passaggi così affascinanti e bene documentati. L’interessantissima esposizione conclusa con una citazione attinta dalla “Mulieris Dignitatem” di Giovanni Paolo II: «La Chiesa rende grazie per tutte le donne e per ciascuna. La Chiesa ringrazia per, tutte le manifestazioni del “genio femminile” apparso nel corso della storia, ringrazia per, i carismi che lo Spirito Santo elargisce alle donne nella storia del Popolo di Dio ... ringrazia per tutti i frutti della santità femminile» (M.D. n. 31). Varie domande chiarificatrici e un lungo applauso chiudono l’arricchente iniziativa.
UNA CONFERENZA “SUPER!”
La dottoressa Elisabetta Serra, docente all’Angelicum di Roma, esperta psicoterapeuta, giovedì 20 agosto sviluppa magistralmente il tema: “Per rispondere all’emergenza educativa: entrare in ascolto dei nostri giovani”. La dottoressa viene presentata dal nostro Parroco don Franco Tonda, preoccupato dei frequenti e noti episodi di bullismo riportati in televisione. La nostra chiesa è stracolma di un pubblico attentissimo: sono presenti anche nuclei familiari qui in vacanza.
Un interrogativo sorge spontaneo e pressante: «Che risposte dare al grave problema generazionale dei nostri tempi?».
La giovane dottoressa si avvale di un discorso operativo e concreto sostenuto da interessanti “slides” chiarificatrici. «Ognuno di noi può fare qualcosa in questa società così problematica. Tutti abbiamo un ruolo educativo verso gli altri, sia che siamo parenti, insegnanti, religiosi... L’importante è saper intraprendere la via del dialogo coi nostri ragazzi. Il difficile, ma estremamente utile, è saper trovare un confronto vero che porti ad una sana crescita dei nostri giovani.
Una pista fondamentale è quella di avere l’umiltà e la somma pazienza di mettersi in ascolto, anche quando essi non parlano: il silenzio, strano a dirsi, è già un’informazione, una comunicazione. Spesso i ragazzi non parlano, perché non si sentono ascoltati ed accolti. Il saper attendere è un’arte: cerchiamo di impararla! Allora mettiamoci all’opera: il nostro ascolto dev’essere attivo, solo così ci può permettere di capire nella sua interezza il messaggio che spesso faticosamente ci viene proposto. Guardiamo l’espressione del viso, ascoltiamo il tono della voce, trasparirà quasi sempre l’intensità dei sentimenti che loro stanno vivendo. Accendiamo i nostri “sensori”, mettiamoci nei panni dell’altro, asteniamoci da qualunque giudizio, cerchiamo di capire il drammatico vissuto anche quando non lo condividiamo. Con l’ascolto “empatico” il soggetto in questione si sentirà valorizzato, accettato come persona, si sentirà amato, nascerà in lui quell’autostima  persa e sentirà il diritto di esistere in una società non alienante.
Può parere da parte nostra un notevole dispendio di energie, ma che meraviglia se avremo un ritorno, avremo aiutato, che gioia!».
Ringraziamo di cuore la relatrice per la pista suggerita che ci appare sicuramente proficua.
Grazie anche per averci indicato il titolo di un testo utilissimo: “L’arte di aiutare” di Robert Carkhuff, Edizioni Erickson.

Noemi Pavese Grisa