02/11/12

ANGOLO DELLA CULTURA (2011)

(le fotografie del bollettino sono omesse)
ANGOLO DELLA CULTURA
La Confraternita del Santo Rosario in Bardonecchia
Willy Beck - Ricordo di un grande narratore d’arte
Il Risorgimento in diretta: Arti belle per l’Italia unita
A ricordo della mostra di Venaria - Leonardo, massimo genio italico
La parentela spirituale in Alta Val Susa tra Cinque e Seicento: una ricerca in corso
Il passaggio a Nord-Ovest: 140 anni del tunnel del Frejus

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La Confraternita del Santo Rosario in Bardonecchia
Le notizie riguardanti la Confraternita del Santo Rosario si devono al Parroco don Tournoud che trascrisse, in occasione della rifondazione della Compagnia, alcuni documenti poi andati persi. La prima fondazione della “Devota Compagnia della Gloriosa Vergine Maria” risale al 17 gennaio 1568, giorno in cui si svolse la raccolta d’adesioni. I confratelli dovevano farsi carico di erigere una Cappella od un altare dedicato alla Madonna.  ....

Lo studio completo si può trovare sotto l'argomento "Confraternite"
Dello stesso autore dott. Guido Ambrois si segnala l’articolo storico
“Gli effetti delle guerre di religione nell’Alta Valsusa e nel Brianzonese” 

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Willy Beck - Ricordo di un grande narratore d’arte
Bardonecchia. È la vigilia di Ferragosto 2011. È sera, e dopo una lunga giornata con gli amici leggo “La Stampa”. Nella cronaca di Torino scopro una notizia straziante: la scomparsa di Willy Beck, critico d’arte e docente di alto valore professionale e umano. Le parole di Angelo Mistrangelo ne tracciano un ritratto perfetto, commosso.
È per me un amico che se ne va proprio quando sta offrendo il meglio di sé, con interventi in pubblico sempre affascinanti, che tante persone che leggeranno queste pagine come me rimpiangeranno, perché ricchi di ricerche mirate, di voglia appassionata di conoscere. Avevamo parlato recentemente della Valle di Susa, così ricca di arte e di storia; avremmo voluto affrontarne insieme il racconto per valorizzare ancora una volta i tesori d’arte e di cultura alpina che la costellano.
A Willy Beck mi legava un’amicizia affettuosa che lui mi testimoniò in modo particolare leggendo in anteprima e presentando con sicurezza eccezionale e con forte sensibilità uno dei miei ultimi libri: “Un filo d’arte. Percorsi nel sapere delle immagini”, uscito per i tipi di Ananke. Ero rimasta molto commossa quando con grande generosità mi mandò il testo che aveva scritto, interpretando il mio libro con ricchezza di immagini. Nessuno meglio di lui aveva compreso il percorso del mio lavoro, suggerendo per il lettore l’approccio originale ad un viaggio nella storia e nell’arte.
Mi pare, oggi che non è più fra noi, di fargli onore e di esprimergli la mia gratitudine riproducendo, per i lettori attenti del bel libro che testimonia la vita di Bardonecchia, quel suo testo. Grazie Willy!
Prefazione per Maria Luisa Tibone.


Preparatevi a un lungo viaggio. L’Autrice vi condurrà attraverso la storia dell’arte stringendo in mano il capo di un filo, voi terrete l’altro capo nella vostra, lei vi guiderà alla meta soffermandosi spesso lungo il percorso, voi la seguirete a passo a passo con la rassicurante certezza di sapere sempre dove vi trovate e verso dove siete diretti. Sembrerete un po’ Arianna e Teseo nel Labirinto,
ma sarà lei ad andare avanti,mentre il vostro compito sarà assai più facile e piacevole di quello dell’eroe greco, perché non avrete alcun mostro da affrontare, il viaggio si svolgerà prevalentemente in esterni anziché in ambienti chiusi da alti muri e vi godrete quindi un panorama continuamente vario e affascinante. Quando si viaggia si imparano tante cose e dunque se le vostre conoscenze dellamateria sono scarse, troverete in queste pagine unmezzo di  apprendimento valido e piacevole, perché qui l’utile si sposa perfettamente al dilettevole.
Se avete nozioni sparse e lacunose e quindi le vostre curiosità sono largamente insoddisfatte, il filo del libro vi consentirà non solo di cucire insieme ciò che già sapete, ma anche di aggiungere nuove perle alla vostra collana. Se poi siete dei professionisti del settore, il libro è ugualmente  consigliabile. Il viaggio ha inizio là dove l’arte venne al mondo, nel cuore delle caverne, ammantata del mistero delle cose sacre e magiche, espressione sublimata dell’istinto vitale e della dura necessità di sopravvivenza. Il filo ci conduce fino
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all’alba di una nuova nascita, alla soglia di quel Novecento che ha aperto all’arte strade del tutto nuove da percorrere, ma che ha anche sperimentato il rischio della completa trasformazione, persino della morte, di un’esperienza condotta per millenni. Il percorso è tutt’altro che rettilineo, in ciò consiste il suo motivo di maggiore interesse, ma il filo può tendersi o allentarsi, sciogliersi o annodarsi, spezzarsi mai.
La concezione dell’Autrice è profondamente antropologica: l’arte è espressione umana universale, al di là delle forme, delle tecniche, delle finalità pratiche, delle distinzioni fittizie di livello e di qualità. Le civiltà trovano le loro forme espressive tanto nell’edificazione di immense
architetture quanto nella fabbricazione di minuscoli gioielli, senza considerare a priori se queste rappresentino forme d’arte “maggiori” o “minori” l’una rispetto all’altra. Le singole personalità artistiche vengono di quando in quando in primissimo piano, per poi rientrare nel flusso ininterrotto di creatività dal quale si sono momentaneamente distaccate. Ma è tempo di partire. Tutto quello
che è necessario avere con sé nel viaggio lo troverete nella prima parte del libro: lì potrete preparare i vostri bagagli. Cercate di non dimenticare nulla, ma se ciò dovesse accadervi potrete sempre tornare a prenderlo e ripartire. E poi afferrate il filo, tenetelo forte e cominciate: Alle origini dell’ uomo... Buon viaggio.
Torino, 15 dicembre 2008 Willy Beck».
Maria Luisa Moncassoli Tibone

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Pregare leggendo Chesterton è un ottimo modo per salvare l’anima e la testa, di cui dobbiamo continuare a fare buon uso. Le preghiere e le formule da lui usate sono quelle di sempre, il nerbo inesausto e inesauribile della nostra Fede. Più ardente e proprio dei Santi il vivere continuamente con la preghiera, anche questa scelta è una scelta possibile: sei ore al giorno di preghiera, il silenzio interrotto solo due volte al giorno, e poi lavoro manuale, ricamo, pittura, giardinaggio, orto; così si dipanava la vita quotidiana al monastero di Lisieux. Nel mondo di internet e delle relazioni virtuali, con ricerche di notizie sui siti web e di videoimmagini, l’ascolto dimusica di vario genere, dedichiamo sempre meno tempo per una pausa con noi stessi. Abbiamo perso la consuetudine di fermarci nel silenzio e nella preghiera per rivolgerci a Dio e per spiegare il senso del nostro viaggio sulla Terra.
A. Giannone
(da “Valori fondanti ed etica per la società della globalizzazione”, pp. 163-164)
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Il Risorgimento in diretta
Arti belle per l’Italia unita
Nell’agosto 2011, al Palazzo delle Feste di Bardonecchia, nell’ambito delle celebrazioni del 150º anniversario dell’Unità d’Italia, Giancarlo Melano e Maria Luisa Tibone hanno tenuto un incontro su “Il Risorgimento in diretta”, esaminando giornali, periodici e libelli che ne hanno scandito le tappe.
Verso il terzo decennio dell’Ottocento, giornali e periodici sono in vivace fermento. L’attualità sollecita il moltiplicarsi di libri ed opuscoli che portano attenzione al momento storico, offrendone una lettura spesso immediata e provocatoria. 1864-1869

L’articolo completo si trova sotto '"Storia"
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A ricordo della mostra di Venaria
Leonardo, massimo genio italico
«Leonardo ha saputo dare all’arte il più nascosto volto della vita e alla scienza il più profondo  ritmo dell’arte». Le parole di Gabriele d’Annunzio nell’“Allegoria dell’autunno” del 1895 esprimono un  profondo approccio al genio italiano che, a conclusione delle celebrazioni per l’Unità d’Italia, si è   fferto a dominare lo spazio delle scuderie juvarriane della reggia di Venaria. Grandiose, alcune sue  acchine sono state proposte dallo scenografo premio Oscar Dante Ferretti come spettacolari contorni delle opere: la Vite senza fine, la Cimatrice e, alta più di diecimetri, l’Intelaiatura per il modello della testa del non realizzato Cavallo Sforza. In apertura, dopo un’accurata biografia, i video: le immagini del  iluvio e il paesaggio toscano con la voce degli scritti e, sorprendente, la video inchiesta di Piero Angela che in due tranches ha proposto l’Autoritratto ringiovanito e posto a confronto con quello che compare  in un foglio del Codice sul volo. L’indagine è messa a punto con il RIS di Parma dove un capitano, che è anche chirurgo plastico, ha rivelato le possibilità di studio e ringiovanimento della muscolatura del  volto. Prima della fine del percorso, un altro video ha mostrato, con sovrapposizioni, lo sguardo  singolare che si accosta in modo preciso al ritratto emerso dalle pagine del Codice torinese. «Il disegno è cosa mentale», scriveva Leonardo, e il complesso della mostra ne ha avvalorato il significato, presentando la ricca sequenza del fare artistico che Carlo Pedretti, massimo studioso del Vinci, ha messo a punto con Paola Salvi docente di Anatomia a Brera
e Clara Vitulo, direttrice della Biblioteca Reale. Di qui proviene il prestito più rilevante dei disegni che, racchiusi in teche supertecnologiche che ne assicurano la salvaguardia, mostrano gli studi dell’anatomia dell’uomo e del cavallo e i famosi carri falcati che, come singolari macchine da guerra, fanno riscontro a ricercate rappresentazioni delle fattezze umane. Alla qualità altissima rappresentata dal viso dell’angelo per la Vergine delle rocce, si accostano gli studi del volto e dell’occhio, immagini di faccia, di tre quarti e di profilo, disegni di insetti...
Su tutti, massimo tesoro, l’autoritratto a sanguigna che, proiettato anche sulle pareti, ha dominato come leit motif lo spazio. A corona di questa ardua e stupenda presentazione, a confronto, i prestiti prestigiosi della Regina di Inghilterra, giunti da Windsor Castle, e quelli delle Gallerie di
Venezia, della Biblioteca Ambrosiana, del Gabinetto delle Stampe e dei disegni degli Uffizi. Numerose le nuove attribuzioni.
Entro lo spazio in penombra che le accoglie, le carte leonardesche hanno emanato il loro grande fascino e permesso la visione eccezionale di una tranche essenziale della ricerca vinciana. Ancora, tra le proposte originali, quella dei disegni di Leonardo ripassati da allievi e seguaci. Lo afferma Carlo Pedretti: opere provenienti dal Louvre, dagli Uffizi e da Windsor, in particolare “Teste di vecchio” sono caratterizzate da un tratteggio destrorso, aggiunta di chi avrebbe ritoccato il disegno del Maestro.
È seguita, tra realtà e mito, la sezione presentata da Pietro C. Marani di testimonianze letterarie e figurative dalla fine del Quattrocento all’Ottocento.
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Le parole di Paolo Giovio attestano le capacità di Leonardo nel teatro e nella musica; la bellezza e la nobiltà sono attestate dal Vasari e dal Lomazzo e, contemporaneamente da una serie di pitture e disegni tra cui spiccano il Melzi, il Sodoma, il Figino che nel disegno e nel dipinto “I due filosofi”, esposti per la prima volta, identifica il Vinci con Eraclito, il filosofo greco profondo ricercatore della natura.
È l’“Uomo vitruviano”, il famoso legno di Ceroli ad introdurre il mito di Leonardo nell’arte contemporanea. Qui Renato Barilli ha offerto, provocatoria, la Gioconda coi baffi di Marcel Duchamp, omaggio alla supposta androginia di Monna Lisa, e diverse interpretazioni dell’Ultima Cena a partire da Andy Warhol, di Spoerri, Nitsch, Cantarono, Avalle... con variazioni tra il reale e il virtuale.
Seguendo le macchie sui muri in cui Leonardo vedeva paesaggi ecco l’intuizione del Tachisme, con l’informale di Tàpies, Bendini, Novelli, Pericoli. Mentre l’installazione “L’oro invisibile” del designer Manfredi interpreta ancora il Cenacolo con 12+1 sculture in pietre preziose.
È stata ancora la gigantografia della Cena, a conclusione della mostra, a sottolineare uno spazio multimediale che ha consentito la lettura particolare dell’ultimo ventennale restauro, realizzato da Pinin Brambilla Barcilon.
Maria Luisa Tibone 


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La parentela spirituale in Alta Val Susa tra Cinque e Seicento: una ricerca in corso
Lo scorso 27 gennaio ho avuto modo di presentare a Verona, durante il seminario “Attraverso la storia” della SISEM (Società Italiana Storia dell’Età Moderna), una ricerca che affronta il tema della parentela orizzontale in area alpina, ricorrendo ai casi di alcune comunità, tra le quali Bardonecchia. Le questioni metodologiche ed i primi risultati saranno ulteriormente discussi nella 9th European Social Science History Conference, che si terrà tra l’11 ed il 14 aprile del 2012 presso l’Università
scozzese di Glasgow. In questa sede intendo anticipare alcune linee guida che ispirano una ricerca che ha trovato nell’archivio parrocchiale di Sant’Ippolito di Bardonecchia una tappa di rilevante interesse storico. È noto che nella prima età moderna il rito di accettazione del neonato nella società dei Cristiani rappresentasse un importante momento di riconfigurazione dei legami di parentela dinanzi agli occhi della comunità, sancito attraverso un rito che creava una parentela spirituale tra il battezzando ed i suoi padrini, ma con implicazioni rilevanti anche nei rapporti tra compatres, ossia tra i genitori del bambino ed i suoi padrini. L’importanza sociale assunta dalla cerimonia del battesimo è testimoniata inoltre dal frequente ricorso a numerosi padrini e madrine, chiamati a tenere a
battesimo il neonato. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che, nell’Europa settentrionale, fosse prevalente l’usanza di due padrini ed una madrina per ogni battezzando maschio, viceversa per una femmina. Si è invece sostenuto che nell’Europa meridionale vi fosse una maggiore propensione al padrinato multiplo, con una certa diversificazione delle pratiche, a seconda dei luoghi. Recenti studi hanno sottolineato che ad Ivrea, nella prima età moderna, si ricorresse ad un elevato numero di padrini e
madrine, con una prevalenza dei primi mentre a Torino i padrini erano numerosi ma con rada prevalenza dimadrine. In questa area alpina si è invece riscontrata la ricerca di un maggior numero di madrine. Con l’apertura del Concilio di Trento, nel 1545, i membri della deputazione della Riforma, riconobbero la necessità di una riforma del padrinato; affermando che scopo del sacramento del battesimo fosse il conseguimento della grazia divina, si additava la diffusione di pratiche orientate verso interessi di tipo economico o di prestigio sociale, dei quali era spesso conseguenza la
ricerca di un numero elevato di padrini. Ma il dibattito sul sacramento del matrimonio, considerata tra le più spinose per il problema della validità dei matrimoni clandestini, pose in secondo piano la questione del padrinato di battesimo, che nel 1563, alla chiusura dei lavori, risultava modificato, ma entro l’ottica di riforma del matrimonio: affrontando il problema degli eccessi di proibizioni e divieti, che, secondo i padri conciliari, finivano per far contrarre matrimoni proibiti, si decideva di stabilire
un solo padrino, uomo o donna, per ogni battezzando, o al massimo un uomo ed una donna, limitando dunque la quantità di legami di parentela spirituale e quindi la possibilità che avvenissero matrimoni non consentiti.
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L’abbandono di pratiche consolidate, a seguito dei dettami del Concilio tridentino, per ricorrere al modello della “coppia” di parenti spirituali, avvenne con una certa riluttanza nelle comunità cattoliche, in tempi e modi differenti, sebbene nella sostanza si concludesse entro gli anni ottanta del Cinquecento, a circa venti anni dalla chiusura dei lavori. Per quanto attiene la Valle di Susa, si è potuto riscontrare che nel processo di uniformazione al Concilio vi fosse una discrepanza di un decennio di anni tra parrocchie di pianura e di montagna.
Va inoltre sottolineato che soltanto dalla fine del Settecento la ricerca del padrino/ madrina avvenisse, diversamente dalle pratiche attuali, all’interno della parentela di sangue. In precedenza era decisamente più diffuso il ricorso ad un compater al di fuori della famiglia, fattore che si spiega con le implicazioni sociali del padrinato di battesimo, ossia di un mezzo di rafforzamento dei legami tra individui che potevano avere rapporti di tipo clientelare o professionale. Ma se consideriamo, ad esempio, i casi di comunità abitate da poche famiglie, sottoposte a regimi di bassa pressione demografica e caratterizzate da emigrazione stagionale, come ad esempio in area alpina, è maggiormente probabile constatare unamaggior frequenza di padrini appartenenti alla cerchia
della famiglia. Attraverso un’analisi che si basa sull’identità del cognome si è avuto modo di notare che ad Oulx, nella prima metà del Seicento, potesse sussistere una diffusa coincidenza tra parentela spirituale e parentela di sangue. Un altro tema che si intende approfondire nel corso della ricerca è relativo alle conseguenze che sottendono la creazione di legami di parentela orizzontale. La scelta
dei luoghi è stata dettata dalle ragioni socio-economiche che regolavano i rapporti tra città di Susa, centro di transito e di scambi, nonché avamposto militare di grande rilevanza,
e le comunità di montagna, nelle due direttrici di strada che consentivano il raggiungimento dellaMoriana e del Brianzonese. La ricerca di un dato padrino poteva in effetti rappresentare una modalità di rafforzamento nella prospettiva di reciproci interessi, anche professionali ed economici. In tale prospettiva ci si pone dunque per approfondire alcune tematiche di storia sociale e religiosa, in un’area alpina la cui grande rilevanza è riconosciuta dai numerosi studi riguardanti la sua storia dall’età antica a quella contemporanea.
Davide De Franco


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Il passaggio a Nord-Ovest: 140 anni del tunnel del Frejus
Le ferrovie erano la grande sfida dell’800 ma, nonostante ciò, molti politici e amministratori nutrivano forti dubbi circa la loro realizzazione, in quanto il peso di tali infrastrutture gravava non
poco sul debito pubblico a maggior ragione per lo Stato sabaudo dove il vago presentimento della guerra con l’Austria vietava di svuotare le “casse dello Stato” per costruire opere pubbliche. D’altro canto lasciare a gruppi di capitalisti la costruzione e la gestione delle strade ferrate avrebbe
significato affidare a dei privati uno dei nodi vitali del Paese.
Inoltremolti conservatori vedevano nelle ferrovie unmezzo rivoluzionario e pericoloso per far circolare idee libertarie e spinte autonomistiche.
Carlo Alberto, pur volendo smuovere l’immobilismo subalpino, era combattuto circa lo sviluppo e l’impostazione da dare alle ferrovie e fino al 1844 erano rimaste più una dichiarazione programmatica che un vero e proprio progetto in fase di realizzazione anche perché se da una parte vi era una notevole diffidenza di fronte «ai nuovi strumenti offerti dal capitalismo internazionale»1 e alle acrobazie finanziarie di alcune di queste società, dall’altra imprenditori e tecnici stranieri, soprattutto gli anglosassoni, possedevano «capitali e kwow-out di cui il Piemonte aveva bisogno»2.
Il progetto che più di ogni altro affascinava Carlo Alberto e soprattutto il suo Ministro dei trasporti Luigi Des Ambrois de Nevachè era quello di mettere in comunicazione, attraverso le Alpi, Chambéry con Torino e Genova in modo da intercettare i flussi commerciali dell’Europa centrale e indirizzarli verso il Mediterraneo tramite Genova eliminando così la spietata concorrenza del porto di Marsiglia.
Interessante è notare che Des Ambrois nell’aprile del 1845 riceveva una delegazione inglese che nel ventaglio di proposte possibili ipotizzava la costruzione di una linea ferroviaria «…from Turin to Geneva by Modane…» previ «…very detailed studies » la fattibilità di una «… railway across the Alps in the vicinità of the Mont Cenis without entailing any excessive expense either or money»3.
In questa temperie culturale e politica Des Ambrois, nello scetticismo generale, incaricò il geologo Sismonda (autore della prima carta geologica del Piemonte e della Savoia) di effettuare dei sopralluoghi nell’area compresa fra il Monte Rocciamelone e il monte Tabor scrivendogli: «… la prego (Sismonda) pertanto che presi gli opportuni concerti col sig. cavaliere Maus, ingegnere capo incaricato specialmente degli studi preliminari, Ella voglia recarsi il più presto che le sia possibile sui luoghi per procedere a tutte le verificazioni occorrenti onde apprezzare la qualità delle rocce e tutte le altre condizioni locali, le quali possano influire sulla soluzione della suddetta questione di possibilità… e valgano a far conoscere il sito dove il perforamento potrebbe essere più facile…»4.

1 G. GAUDERZO, “Ferrovieri” inglesi nel Piemonte di Carlo Alberto, Torino 1987, p. 125.
2 G. GAUDERZO, Op. cit., p. 137.
3 Ibidem., p. 131 e 133.
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Entrambi gli studiosi convenirono che il punto più adatto era quello indicato dal bardonecchiese Giuseppe Francesco Medail in una memoria prima del 1839 e poi nel 1841 in una relazione indirizzata al Re e al governo.
Medail, con una preveggenza stupefacente, nel suo Projet de percement des Alpes invitava ad abbandonare la strada del Moncenisio e “forare le Alpi” nel punto più corto, che si trova sotto la montagna del Frejus, fra Bardonecchia e Modane. «Questo traforo, gigantesco in apparenza, non ha in realtà che cinquemila metri di lunghezza circa»5 aggiungendo inoltre, in sintonia con il pensiero di Des Ambrois6, il lavoro dovrà «essere eseguito a spese dello Stato» diffidando delle compagnie private troppo inclini a tutelare i propri interessi e magari pronte a porre pedaggi troppo esosi «… che paralizzerebbero i vantaggi che abbiamo bisogno di ottenere»7. Come già detto il progetto di Medail resterà inascoltato fino al 1844 quando Des Ambrois afferrò la portata dell’idea e cercando di realizzarla andò «…diritto alla ricerca dei mezzi di attuarla colla maggiore possibile economia di tempo e di spesa…»8.
Sfortunatamente il progetto non poté decollare nemmeno in questo caso perché i tempi non erano maturi e l’impegno economico era enorme, soprattutto in vista degli eventi bellici antiaustriaci del 1848-49 e poi le soluzioni tecniche proposte dal Maus non erano interamente convincenti e  prevedevano lunghissimi tempi di esecuzione9.
Al termine della prima guerra di indipendenza il regno sabaudo riuscì in poco tempo a risollevare le finanze dello Stato consentendo al ministro Cavour di assegnare, nel 1853, alla società “Vittorio Emanuele” del banchiere parigino Lafitte la costruzione dei lavori sulla tratta St. Jean de Maurienne-Aix les Bains e alla società Jackson-Brassey-Hanfrey la costruzione della Torino-Susa terminata il 22
maggio 185410.

4 V. ODIARD, F. Luigi Des Ambrois, Torino 1886, p. 15.
5 Il progetto di Medail prevedeva soli 5 km. di lunghezza, ma si tratta di un errore di calcolo oppure si ipotizzava una
perforazione a quota più elevata. Cfr. C. LESCA, Tre ingegneri per un traforo, Borgone 1998, p.19 e I. PETITTI, Delle strade
ferrate e del migliore ordinamento di esse, Lugano 1845 p. 271
6 Nella realizzazione della “Torino-Savigliano” Des Ambrois si era schierato contro alcune cordate di imprenditori, fra
i quali figurava anche Cavour, che volevano, una volta realizzata l’opera imporre dei biglietti ferroviari dal costo eccessivo.
7 R. ANTONETTO, Frejus memorie di un monumento, Torino 2001, p. 91.
8 V. ODIARD, Op. cit., p. 11.
9 Cfr. C. LESCA, Op. cit., pp. 21-25.
10 William Jackson fu un vulcanico imprenditore inglese che investì in vari settori di mercato e che poi intuendo la
potenzialità delle ferrovie insieme a Brassey iniziò a produrre materiale ferroviario per poi costruire vie ferrate in Italia e
Canada. Cfr. G. GAUDERZO, Op. cit., pp. 128-129.
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Ovviamente il culmine del progetto era il collegamento di Torino con Chambery attraverso il passaggio del Frejus. Nel 1853, durante il governo di Vittorio Emanuele II, gli ingegneri Grandis,
Sommeiller e in seguito Grattoni presentarono all’Accademia delle Scienze di Torino una domanda di “privilegio” per una macchina detta “compressore idropneumatico” capace di trarre la forza necessaria dall’aria compressa e applicabile in svariati campi.
Il “compressore” venne sperimentato con successo nel 1854 per spingere le locomotive sul “piano inclinato” dei Giovi sulla Torino-Genova, ma la guerra di Crimea e l’evoluzione delle locomotive rese il tutto ben presto obsoleto o meglio l’aria compressa andava applicata al progetto più rivoluzionario del tempo: il traforo del Frejus.
Il 5 maggio 1857 una commissione formata da Des Ambrois (presidente), Giulio (relatore),Menabrea, Ruva e Sella si esprimerà sugli esperimenti della perforatrice dei tre ingegneri nel seguente modo: «Il compressore idraulico dei signori Grandis, Grattoni e Sommeiller opera in modo regolare e sicuro, e fornisce il miglior mezzo conosciuto per applicare la forza dell’acqua cadente a comprimere grandi volumi di aria sotto energiche pressioni. Esso costituisce una vera e preziosa conquista dell’arte…»11.
Il 27 giugno1857 dopo una sofferta seduta la Camera del parlamento subalpino approva la costruzione del tunnel e il 15 Agosto con la legge n. 2380 il re Vittorio Emanuele II autorizzava il Governo alla realizzazione del traforo. Il 29 agosto la “Direzione tecnica pel Traforo delle Alpi” verrà affidata a Grandis, Grattoni e Sommeiller12.
Il 31 agosto del 1857, dal lato di Modane, alla presenza del re Vittorio Emanuele II, il principe Napoleone per la Francia, Cavour, Paleocapa, il banchiere Lafitte e molte altre personalità, si aprivano i cantieri di quella che potremmo definire, insieme al Canale di Suez, il “Cape-Canaveral” dell’800, un gigantesco esperimento dove invece di andare sulla Luna si perforavano le Alpi; un impresa ciclopica per chiunque e a maggior ragione per il piccolo Stato sabaudo. Un’impresa dai contenuti tecnici elevatissimi, ma anche con una fortissima valenza pubblicistica e politica e, per usare le parole dell’abate Baruffi, «… sbalordire l’Europa e persuaderla che se il Governo Sardo trasportava
i porti e traforava le Alpi, poteva con maggior ragione fare l’Italia»13.
L’abate Baruffi durante una delle sue “passeggiate autunnali” nell’agosto del 1861 si recava a Oulx, ospite del cavaliere Des Ambrois, per visitare i lavori del traforo e «presentare una relazione sullo stato presente di quest’opera gigantesca al congresso scientifico di Francia, che doveva aprirsi il 16 del prossimo mese di settembre nella città di Bordeaux»14.
I cantieri che vede Baruffi sono ancora in fase di rodaggio perché soltanto cinque compressori su dieci funzionano per otto ore al giorno con soli 24 addetti alla perforazione, mentre quando tutti i compressori funzioneranno a pieno regime per 24 ore al giorno ben altri saranno i tempi di avanzamento. Interessante è altresì il fatto che l’abate ci indichi casa des Ambrois come il punto di riferimento per i notabili del regno in visita al traforo e dove era stato installato un telegrafo per tenere costantemente informato il conte Cavour sull’andamento dei lavori15.
11 R. ANTONETTO, Op. cit., p. 141.
12 Ibidem, p. 144.
13 G.F. BARUFFI, Pellegrinazioni e passeggiate autunnali nell’anno 1861, Torino 1862 , p. 18. L’abate Baruffi nacque
a Mondovì nel 1809, docente presso l’Università di Torino, si occupò oltre che di filosofia, anche di letteratura, storia e
scienze naturali. Dal 1834 viaggiò molto attraverso paesi come: Olanda, Austria, Ungheria, Egitto e Turchia inviando un
resoconto sotto forma di lettere alla “Gazzetta Piemontese”; le lettere vennero poi raccolte in tre volumi stampati nel 1884.
Molte furono anche le “passeggiate autunnali” nei dintorni di Torino. Fu grande sostenitore dell’importanza dello sviluppo
ferroviario e contribuì a svecchiare e sprovincializzare il Piemonte. Morirà a Torino nel 1875.
14 Ibidem, pp. 7-8.
15 Ibidem, p. 18.
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Nei due anni precedenti la visita dell’abate torinese era scoppiata la seconda guerra d’indipendenza che aveva cambiato notevolmente l’assetto geo-politico tra il Regno Sardo e la Francia con la cessione della Savoia e quindi la trasformazione del tunnel in un’opera trans-frontaliera e di carattere internazionale. La diplomazia sabauda faticò non poco a convincere la Francia della validità  dell’opera anche perché il nuovo passaggio alpino avrebbe spostato l’asse commerciale nord-sud dal porto di Marsiglia a quello di Genova senza contare le implicazioni militari in quanto il tunnel poteva ipoteticamente favorire operazioni lampo da parte di nemici provenienti dall’interno della galleria; ma alla fine, nel 1862, ebbero la meglio il prestigio internazionale e la Francia si impegnò con una spesa di 19 milioni di lire al completamento dei lavori fissato in 25 anni a partire dal 1° gennaio 186216.
È da sottolineare la poca fiducia che i francesi avevano nell’opera in quanto era stato previsto un premio di cinquecentomila lire per ogni anno guadagnato rispetto al quarto di secolo previsto che «sarebbero diventate seicentomila se i lavori fossero durati meno di 15 anni»17.
Mentre i lavori del Frejus procedevano prendeva il via, nel 1867, la costruzione  ferroviaria della linea da Bussoleno a Bardonecchia (dopo che nel magio del 1854 era stata inaugurata la tratta Torino-Susa) la quale, contrariamente a quanto indicato dal belga Maus, avrebbe dovuto snodarsi lungo il lato destro della Dora Riparia e raggiungere Bardonecchia e il Frejus, isolando in questo modo il capoluogo valsusino, creando non poche polemiche e dispute.
Un simile tracciato relegava Susa in una posizione secondaria e la stazione di Meana, che avrebbe dovuto servirla, era lontana dal capoluogo valsusino, senza contare che l’apertura del Frejus avrebbe determinato la chiusura della ferrovia Fell18 che collegava Susa a St. Michel de Maurienne attraverso il colle del Moncenisio determinando un ulteriore impoverimento dell’economia locale. Ma tutto fu inutile e la Bussoleno-Bardonecchia prese il via sul tracciato previsto con la costruzione di 15 gallerie, 129 tra ponti e viadotti e varie opere di difesa19.
Al di là delle polemiche sulla linea ferroviaria, terminate le opere di cantierizzazione, le perforazioni  partirono effettivamente nel 1858 e, come si evince dalla “Relazione tecnica” i lavori si svolgevano 365 giorni l’anno per 24 ore al giorno, ma più interessante è confrontare i dati del periodo 1858-1862 dove  l’avanzamento era di circa 220 metri/anno contro i circa 690 del periodo 1862-70 e gli 800 medi dell’ultimo anno.
Tali variazioni non erano dovute solo alla natura della roccia ma anche ad una progressiva ottimizzazione delle perforatrici, delle tecniche di lavoro e non ultimo della perizia degli operai.
16 N. MOLINO, La ferrovia del Frejus, Condove 1996, p. 22.
17 Ibidem.
18 La ferrovia Fell, dal nome dell’ingegnere inglese omonimo, utilizzando un particolare sistema di aderenza artificiale
risaliva il colle del Moncenisio utilizzando una parte del piano stradale della via napoleonica collegando Susa con St. Michel
de Maurienne. La ferrovia rimarrà in esercizio dal 15 giugno 1867 al 10 novembre 1871. Per approfondire: E. PIERI, La ferrovia
del Moncenisio ed il sistema Fell ad aderenza artificiale, Sant’Ambrogio di Susa, 1996.
19 Interessante è notare che Victor Prat, cugino di primo grado del cavaliere di Nevachè (figlio del fratello della
madre di Des Ambrois) investirà, con alterne fortune, notevoli somme sulla costruzione della tratta Chiomonte-Serrela
Voûte. A Victor Prat appartenevano anche i fabbricati posti presso la stazione di Oulx nella zona dell’attuale caserma dei
carabinieri.
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Il 25 dicembre del 1870 cadeva l’ultimo diaframma di roccia ma il traforo veniva inaugurato soltanto 17 settembre 1871 e un mese dopo aperto al traffico ferroviario con un lunghezza di 12.233 metri e un costo di circa settanta milioni dell’epoca (contro i 41,6 previsti), mentre in termini di vite umane il bilancio sarà di duecento operai ricordati nel monumento eretto a Torino in piazza Statuto su un bozzetto dell’artista Luigi Belli 20.
L’apertura del traforo venne salutata con grande enfasi dal lato italiano mentre a Modane l’accoglienza fu gelida e con poche personalità, anche se vi erano personaggi come Maus e Fernando de Lesseps il promotore del Canale di Suez; ma la ragione di un simile comportamento era chiara: il tunnel avrebbe spostato l’asse delle rotte commerciali nord sud attraverso il Frejus verso Genova, Brindisi e Suez ridimensionando il ruolo di Marsiglia , ovvero esattamente ciò che intravedevano e speravano
Medail, Des Ambrois e Cavour.
Il legame ideale fra il Frejus e il canale di Suez, la cosiddetta “valigia delle Indie”, da Londra alle Indie orientali, verrà celebrato nel gigantesco padiglione del “Bogorama” dal titolo “Bardoneccio-Suez” realizzato per il carnevale del 1870, su progetto di Casimiro Teja al ritorno da un viaggio in Egitto, dai pittori Francesco ed Enrico Gamba, Cerutti, Perotti, Barucco, Pastoris e dal neo-socio del “Circolo degli Artisti” e “Cavaliere del Bogo” Tommaso Juglaris21.
Lo scopo era quello di avvicinare due opere titaniche, occidente e oriente; le utopie del traforo del Frejus e del taglio di Suez rappresentavano agli occhi delle genti di fine ’800 la possibilità di vedere finalmente a portata di tutti il viaggio dal nord Europa «verso la cuna del mondo», verso l’India: due utopie tecniche avevano coronato l’incontro di due mondi lontanissimi.
Il “Bogorama” rappresentò anche una prima forma di pubblicità per Bardonecchia e la Val di Susa, in quanto nella parte iniziale dell’opera veniva rappresentata una veduta con il prospetto dell’imboccatura della galleria a Bardonecchia mostrando le grandiose costruzioni fatte per i compressori d’aria, le abitazioni di operai e direttori e poi spettacolari scorci alpini e inaccessibili dirupi fino a raggiungere la città di Susa, e da lì verso Torino attraverso i laghi di Avigliana e il monte Pirchiriano con la “sacra” di San Michele della Chiusa.
Ma com’era la Bardonecchia del 1858?
L’abate Baruffi la descrive come un borgo di 1084 abitanti, 187 case e 211 famiglie, tutti dediti prevalentemente alla pastorizia, all’ allevamento del bestiame e al traffico di legname, un insieme di genti «…tuttora (sic) oneste e quasi vergini»22,mentre nella “Relazione della Direzione tecnica” del 1863 la situazione è descritta inmodo ben più drastico «le abitazioni coordinate alle invecchiate abitudini di quei alpigiani ed ai loro ristrettissimi bisogni, il costume di svernare nelle stalle, il modo di vivere  così differente da quanto si vede nelle campagne, anche le più povere…» analoga situazione si presentava a Fourneaux (400 abitanti) , mentre a Modane, posta due chilometri emezzo dal sito dei cantieri, la situazione eramigliore infatti, inizialmente, lì presero alloggio impiegati e maestranze.


20 Per le sofferte vicende della realizzazione del monumento vd. R. ANTONETTO, Frejus memorie di un monumento,
Torino 2001.
21 Il Bogorama è il nome che si attribuì ad uno spettacolare padiglione eretto in piazza Castello, sul retro di palazzo
Madama, sulla cui facciata alta 10 metri era dipinta una sfinge con la scritta “Bardoneccio-Suez-Bogorama”, che nascondeva
un enorme panorama dipinto su una tela lunga 120 metri e alta 3, che illustrava le visioni dalle Alpi al Cairo e poi la
riva sinistra del Nilo sino alle rovine del tempio di Tebe. «A detto tempio fanno capo i sacerdoti del Bogo, con leggiadra finzione
degli artisti, quasi a chiudere le variate e dilettevoli vedute, cui piacevolmente vollero chiamare Bogorama». L’opera
trasportata a Parigi venne distrutta da un incendio nel 1871 durante i moti dei Comunardi. Cfr. L. ROCCA, Gianduia e il Gran-
Bogo, Torino, 1886.
22 Ibidem, pp. 10-12, vd. anche G. STEFANI, “Dizionario generale geografico-statistico degli Stati Sardi”, 1855.
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La vita degli operai era durissima: turni massacranti, polveri, fumo e rumore insopportabili all’interno della galleria, mentre fuori, a parte il grande freddo invernale, il cibo scarso e frugale e le distrazioni erano pochissime.
Nel 1863 Somellier sollecitava un aumento di finanziamenti anche per la costruzione degli alloggi degli operai, che intendeva aumentare nel numero, ma anche per permettere una maggiore facilità nell’acquisizione del vitto con prezzi contenuti, infatti nella “Relazione tecnica” della primavera 1863 dirà: «Queste non sono né cose nuove, né teorie umanitarie; sono invece cose di pratica applicazione…» ovvero senza scomodare le teorie del socialismo utopico di Saint-Simon, Fourier e Owen era chiaro che condizioni di vita accettabili avrebbero migliorato la produttività.
Immediatamente si riparò la strada consortile, che univa Oulx con Bardonecchia, mentre, potendo lavorare all’esterno solo nella bella stagione, ci vollero circa tre anni per dotare i cantieri di baracche per gli operai, magazzini, uffici, officine, infermerie, refettori, ecc., ma nel 1863 il solito abate Baruffi trova Bardonecchia «animata ora da un grande fermento di uomini e macchine, nuovi complessi abitativi come le “case rosse” , per i tecnici dei lavori, case per gli operai, magazzini, un gasometro che fanno presagire una gran città nascente e sorprendono per il loro complesso, pel movimento e per la situazione a’ piè di altissime montagne»23.
Nel 1865 Bardonecchia fu colpita da una grande epidemia di colera con 60 vittime fra la popolazione e tra queste vi erano anche 18 operai del traforo. Le vittime fra gli operai del Frejus saranno in tutto 48 ma di queste oltre ai 18 morti per il colera, 8 sono da attribuire a risse fra gli operai; quindi i morti per reali incidenti sul lavoro furono “soltanto” 22, una cifra che ai giorni nostri sembra comunque molto elevata ma per i tempi era da considerarsi molto contenuta.
I caduti nella realizzazione del tunnel saranno ricordati in un monumento posto in piazza Statuto a Torino e realizzato da Luigi Belli e Odoardo Tabacchi, che ispirò al compositore Luigi Manzotti il ballettomimico “Gran ballo Excelsior”, nel quale si celebrava il trionfo del Progresso sull’Oscurantismo.
Lo stessoManzotti dedicherà la scena finale dell’opera teatrale proprio al “Traforo del Cenisio” (come allora impropriamente si chiamava il Frejus).
L’apertura del traforo significò per Bardonecchia la fine di un’epoca e l’inizio di
una nuova epopea con nuovi mestieri (doganieri, ferrovieri, albergatori…) con un nuovo assetto  sociale.  Emblematico in tal senso è il caso della famiglia Bosticco arrivata verso il 1850
dall’astigiano come commercianti di vino per poi trasformarsi in albergatori e imprenditori del territorio di Bardonecchia.
23 Ibidem.
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Sul piano urbanistico vi sarà la nascita del “Borgonovo” nella zona della stazione ferroviaria, delle case per gli operai del cantiere e poi la scoperta di Bardonecchia come stazione climatica e di villeggiatura con l’apertura di alberghi e pensioni. Non dimentichiamo che in quegli anni vi è la nascita  dell’alpinismo moderno, la scoperta  della montagna come luogo di spazi inesplorati dove  «L’esplorazione diventa allora occasione di chiarificazione e ridefinizione dei contorni della persona e, attraverso l’osservazione di un mondo che passa davanti agli occhi, permette il raggiungimento di una diversa consapevolezza di sé»24.
In tale contesto Bardonecchia facilmente raggiungibile con il treno e circondata da vette inesplorate e innominate diviene meta ideale di alpinisti25  prima e poi con l’avvento dello “Ski” di turisti alla ricerca di sport, divertimento e mondanità.
Meno entusiasti del traforo ferroviario saranno i militari di entrambe le nazioni, i quali temevano un’azione a sorpresa ad opera di truppe provenienti direttamente dall’interno del tunnel.
Infatti sul lato italiano a partire dal 1874 vi furono interventi volti alla difesa della nuova via di comunicazione come la costruzione della “Caserma difensiva”, posta all’imbocco del tunnel, del blockhaus del Belvedere, edificato dove ora sorge il piazzale del traforo autostradale, e le postazioni del Forte Bramafam26.
L’Amministrazione comunale di Bardonecchia ha ricordato i 140 anni del traforo ferroviario ponendo in piazza Statuto, il 17 settembre 2011, una lapide fissata su una pietra del Frejus riportante le parole del telegramma con il quale si annunciava l’avvenuta perforazione, unitamente ad una mostra nel foyer del Palazzo delle feste dal titolo: “1871-2011 oltre le montagne. L’avventura della costruzione
del Traforo del Frejus”. La mostra verrà esposta anche a Modane in occasione dell’Automne italien.
La miglior chiosa a questa nostra riflessione penso possa essere offerta dalle parole del solito Luigi Des Ambrois che parlando della Bardonecchia del 1871 dice: «…Dei castelli del Medioevo, dei manieri feudali… non rimane che qualche pietra. Sono scomparse le antiche case in legno… una piccola città è sorta… il vecchio borgo si è trasformato, si è ricostruito… si è popolato di alberghi e negozi… il soffio potente di un grande progresso della civiltà e dell’industria umana vi ha versato nuova vita»27:
a noi oggi l’onere e l’onore di alimentare quel …“soffio”.
Roberto Borgis

24 G. SAGLIO, C. ZOLA, In su e sé, alpinismo e psicologia, Borgaro Torinese, 2008, p. 35.
25 Per le prime ascese sulle montagne bardonecchiesi vd.: A. BIANCO, Bardonecchia viaggio nel tempo, Torino 2006,
pp. 95-104.
26 Cfr. P. G. CORINO P. GASTALDO, La montagna fortificata, Borgone 1993
27 L. DES AMBROIS, Notice sur Bardonècche, Bologna, 1901, p. 310.
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