23/01/13

La barca d'oro dei Re


Conferenza di Maria Luisa Tibone tenuta al Palazzo delle Feste di Bardonecchia il I gennaio 2013 alle ore 18,00

La barca d'oro dei Re è approdata alla Venaria. Circondata da un palcoscenico sul quale un estroso regista teatrale, David Livermore, ha orchestrato il suo spettacolo, viene offerta alla visione del pubblico per quaranta minuti, che sono molti per coordinare e assorbire l'emozione che essa suscita ma pochi per completare l'osservazione della sua straordinaria immagine.! La cui creatività, nel complesso programma decorativo che essa contiene, viene ora ricondotta con nuove riflessioni stilistiche e anche documentarie, all'opera di quel regista avanti lettera che fu, per i primi tre decenni del Settecento alla corte dei Savoia, l'abate architetto ser Filippo Juvarra. Nel Prologo, teatro della memoria sette personaggi si raccontano dai palchi di un teatro: parla il re Vittorio Amedeo II, suo figlio e il famoso architetto messinese; Matteo Calderon maestro d'ascia veneziano e Marco Antonio da Burano costruttore navale, una curiosa sarta romana in servizio a Torino e anche Narciso, personaggio mitologico raffigurato sulla prora. Intorno si spande la musica di Vivaldi e poco dopo un viaggio a ritroso conduce ai sogni tra i flutti e antiche architetture mentre nelle acque del fiume nel soffitto animato, ninfe e amanti esprimono diversi scontri dei sensi. Quando la tempesta e la musica si placano, ecco finalmente la "peota."


Vivificata dall'attenta opera di restauro a cui e stata con infinito amore e infinita cura sottoposta, l'opera appare affascinante. Un paradigma degli splendori di quell'epoca straordinaria che fu il Settecento delle arti. Un vascello superstite, l'unico, della flotta infinita dei bucintori che negli squeri veneziani si produssero arricchendo con eccezionale impegno decorativo gli scafi assemblati nei cantieri suburbani, come Burano.
Il 1730 è l'anno in cui Vittorio Amedeo II di Savoia, re di Sardegna, abdica in favore del figlio Carlo Emanuele III. L'anno prima aveva probabilmente commissionato in laguna veneta la costruzione di una peota-bucintoro accettando un carissimo prezzo per il prestigio della sua immagine di corte. Nella costruzione, arredo, decorazione di quella imbarcazione partecipavano squeraroli, remieri, fabbri alboranti, veleri, falegnami da rimesse e da soare, dipintori, doratori, battiloro ma soprattutto abilissimi mastri intagliatori. Lavoravano negli squeri, all'epoca una cinquantina, ciascuno costituito da uno "scoperto" in terra battuta digradante verso il vicino canale e da un capannone ligneo - "teza"- dove si svolgeva la costruzione. Si producevano burchielli, barche di linea e da trasporto; peote, vascelli più agili da passeggeri o da parata. I Bucintori risalivano ad una usanza bizantina da cui il nome bucentaurus. Erano imbarcazioni cerimoniali. In Venezia se ne produssero anche di effimere come quelle per il carnevale, destinate a durare anche un sol giorno.

Lo spettacolo della festa religiosa e le immagini del mito


Canaletto - La festa dell'Ascensione - 1734
Mosca - Musep Puskin
Ma la flotta più spettacolare sfilava in laguna per la festa della Sensa, l'Ascensione, ben descritta dalla veduta del Canaletto del 1734, conservata al Museo Puskin di Mosca. "Desposamus te, mare in signum veri perpetuique domini". L'anello scivolava in acqua verso il porto del Lido ed il Doge suggellava così il dominio marittimo della sua città. Al Museo storico della Marina Militare nell'Arsenale di Venezia è esposto il modello del Bucintoro del 1719 fatto per il Doge Ludovico Manin. Era ampiamente decorato di statue e di ornamenti dorati. Lo scafo di parata che oggi vediamo è una copia, mentre la peota dorata di Torino è originale, l'unica superstite:. Una ricca decorazione allegorica ne caratterizza la prora che inalbera l'elegante figura di Narciso dal gesto ricco di stupore, nel momento in cui scopre la propria figura riflessa nell'acqua.
Il suo mito è narrato da, Ovidio. Figlio di Cefiso e della ninfa Liriope, insensibile all'amore delle fanciulle, in particolare di Eco, le si negò al punto che essa mori. Narciso si invaghì fino alla morte della propria immagine riflessa in un fonte. E' ricordato nel fiore che porta il suo nome. Trasformata in roccia, Eco continua a ripetere il nome dell'amato, senza speranza.
Appoggiata su una roccia che ricorda la ninfa, la statua di Narciso della peota -bucintoro sabauda è circondata da due figure di vecchi con anfore versanti acqua da ambo i lati. Sono i due fiumi, Po ed Adige, che completano la stupenda allegoria dorata. Nella foto si vede sullo scafo del vascello l'opera ‘morta’ di colore nero destinata all'immersione e l'opera ‘viva’ di colore rosso, al limite della linea di pescaggio della barca. In prospettiva si vede bene il 'tiemo' o `felze', la cabina destinata a proteggere i viaggiatori che è ampiamente ornata di pitture. Sculture dorate, di fattura elegante, decorano la fascia più alta dello scafo mentre altre figure, sempre auree a poppa culminano in due cavalli. Risalgono sul fianco del tiemo motivi floreali e stupende figure simboliche. La spettacolarità di questa decorazione scolpita è altissima. In alto, sul colmo del tiemo essa assume un ricco aspetto araldico.
Lo scafo delle peote era per lo più lungo da 10 a 16 metri, consentiva ai guidatori velocità e maneggevolezza. Quella di Torino raggiungeva il massimo della lunghezza ed era largo circa metri 2,60. Aveva un albero di metri 12.20. Era governato dal timone che sporgeva a poppa in forma di drago. Il fondo piatto ne faceva un mezzo di trasporto veloce e funzionale, non inquinante. Il bucintoro dorato dei Savoia era quindi un tangibile esempio acquatico di un mondo da sogno, realmente esistito e durato fino ad oggi.

La corte tra splendori e tragiche vicende

Al 1729 risale il Regio Biglietto per l'inizio della costruzione juvarriana di Stupinigi. E' probabilmente contemporanea la commissione a Venezia per la peota. Precede certamente i due anni più tragici che vedono l'abdicazione di Vittorio Amedeo Il del settembre 1730, il suo passaggio a Rivoli, poi a Chambéry, quindi in prigionia a Moncalieri e qui la morte il 31 ottobre 1732.
Ma in quel tempo difficile quanto era costato il bucintoro sabaudo? L'amministrazione di corte lo pagò 34.000 lire di Piemonte, pari a circa 3 milioni di euro attuali. Alcuni confronti significativi si possono fare con le 90.000 lire investite nel 1734 per l'acquisto della intera collezione d'arte del Principe, Eugenio, di più di duecento dipinti, oggi nucleo importante della Galleria Sabauda. La somma totale pagata per la peota corrispondeva a 15 anni di stipendio assegnato al medico del re o addirittura a 100 anni dell'emolumento conferito ai grande ebanista di corte Pietro Piffetti. Ma come viveva la corte in quegli anni? Gli esami dei libri dei conti, compiuti da esimi studiosi come Andreina Griseri, rilevano una curiosa commistura di, spese. Da quelle per le confetture e l'orzata, delizie del palato per i balli, ai tessuti come il 'gros di Tours' per gli abiti della bella regina Polissena; tra le bevande i vini di Vienna per la corte accanto al vecchio Barolo prediletto dal sovrano e, nell'abbigliamento, le 'camiggie' e le vesti da camera per il vecchio re e il 'giuppone' per la Marchesa di Spigno che lo assiste. Ma sempre dai libri delle spese si rileva come per la corte del figlio Carlo Emanuele III cresca l'ornato: si registrano spese per piume, ciniglia, passamanerie per le feste alla Villa della Regina e le commissioni a Piffetti di tavoli, librerie, mobili a doppio corpo intarsiati in palissandro, mogano, avorio, madreperla.
E' un momento strategico quello che segna la creazione della peota, ordinata da Vittorio Amedeo Il nel 1729 per le feste che non saranno più sue, ma del figlio Carlo Emanuele III, detto Carlino.
Gli studi della Griseri riservano a Juvarra l'incarico di sovrintendere col suo disegno e col suo giudizio alla creazione della splendida barca che sarà presa in carico al Valentino dal cavaliere d'Orioles, dopo il viaggio di un mese da Venezia sul Po, il 4 settembre 1731. Le loro maestà presero divertimento con il bucintoro sul Po dopo l'arrivo a Torino dell'imbarcazione che lì rivelò il trionfo barocco dell'intaglio. -Sono le monumentali sculture lignee dorate di Matteo Calderoni ed Egidio Goyel che mostrano un dialogo con altre opere scolpite a Torino e a Venaria da Carlo Giuseppe Plura, ma anche possibili confronti con l'arte ligure. Anche all'interno del tiemo, la cabina che domina la peota, la decorazione si sviluppa su base aurea. Ricordiamo che per le dorature sono stati necessari ben 58 libretti di foglia d'oro, pagati 4400 lire. Le scene, scolpite e quelle dipinte su fondo aureo appaiono assolutamente raffinate nella scelta delle raffigurazioni. Notiamo l'eleganza dei putti, dei frutti, delle piante e degli animali scolpiti e altrettanta raffinatezza nel fregio monocromo blu a grottesche.

Un ricordo di vicende papali
Abbracci fra due pontefici:
Felice V e Niccolò V
(dipinto sul soffitto del tiemo)

Il soffitto del tiemo sviluppa tre temi. Al centro è l'abbraccio tra due pontefici: Amedeo VIII di Savoia, già antipapa Felice V con un gesto affettuoso consegna la tiara a Niccolò V, ricomponendo in epoca quattrocentesca l'armonia della chiesa cattolica. E' la rinuncia di quello che sarà il primo duca sabaudo, al soglio pontificio a cui era asceso nel 1440. Ma la scena antica si lega probabilmente anche al concordato del 1727 tra Vittorio Amedeo Il e il papa Benedetto XIII che riconobbe i privilegi già concessi ai Savoia. E' l'allegoria della Fede che assiste all'incontro. Nell'insieme delle figure dipinte è stato osservato lo stile di G.B.Crosato artista di formazione veneta attivo a Stupinigi. Ai due lati della scena centrale due pitture celebrative della dinastia: da una parte il motto FERT (Fortitudo eius Rhodum tenuit) ricorda Amedeo VI il Conte Verde, vincitore a Rodi mentre l'altro motto OPPORTUNE invita Carlo Emanuele I a seguire l'esempio del padre Emanuele Filiberto. Altra stupenda decorazione pittorica del tiemo è costituita dal fregio monocromo blu con ninfe, ghirlande, danzatrici, carri allegorici. E' stata vista come un'ampia allegoria del buon governo suggerito al sovrano, Dieci finestrelle s'aprono nel tiemo con cristalli scorrevoli, protette dà scuretti decorati con rabeschi sotto le quali corre un decoro di schienali con le arti liberali: geografia, geometria, architettura, pittura, poesia, musica, aritmetica, astronomia, guerra. Ancora un messaggio di cultura, di equilibrio dinastico, nell'ottica del sapere necessario al buon governo nello stato sabaudo. Un programma anche, questo suggerito da Juvarra? Certo la perfezione del disegno di questi eleganti monocromi fa pensare alla ricchezza di immagini che all'epoca realizzavano gli argentieri. Altri riscontri si possono vedere con i decori monocromi di Rivoli e con l'opera dei fratelli Minei.
Ma l'eleganza più spettacolare resta quella che si svolge anche all'esterno della cabina, il tiemo, nel fregio dorato, nei decori a candelabra, negli scuretti.

Un naviglio in viaggio

Progettata per celebrare i fasti del padre, Vittorio Amedeo Il re di Sardegna, l'imbarcazione splendida diventa divertimento per il figlio, Carlo Emanuele III e per la sua seconda consorte, la bella ed elegante regina Polissena d'Assia Rheinfels. Abbiamo già accennato alla tragica crisi dinastica che si svolge proprio nell'anno in cui deve avvenire la consegna del naviglio stupendo.
Mentre si sta costruendo il bucintoro, Vittorio Amedeo Il decide di abdicare in favore del figlio. Ecco il suo esilio volontario a Chambéry, cominciato il giorno dopo la lettura dell'atto di abdicazione avvenuta il 3 settembre 1730 nella stanza di Amedeo VIII nel Castello di Rivoli. La vera rottura dei rapporti tra i due sovrani avviene circa un anno dopo quando la barca d'oro è ormai in viaggio, da Venezia a Torino, per la consegna ai Savoia. Seguono per il vecchio re le giornate più drammatiche: un suo tentativo di riprendere il regno, poi il 28 settembre 1731 l'arresto e la reclusione prima a Rivoli, poi a Moncalieri, seguita il 32 ottobre 1732 , come s'è accennato, dalla morte.
Intanto in quell'agosto 1731 la peota ha percorso il suo lungo viaggio. Smontate e protette tutte le più importanti decorazioni dorate, imbottite con stracci e carte e coperte da incerate, la barca preziosa è condotta da alcuni religiosi e da conversi che si alternano a guidare il lungo viaggio. Luigi Griva, attento studioso, ha ricercato e trovato i numerosi documenti che ne raccontano tutti i particolari. Occorrevano una serie di permessi di passaggio da parte dei paesi rivieraschi. Da Venezia il percorso toccherà Chioggia, Brondolo, Pontelagoscuro, Brescello, Cremona, Pavia, Frassinetto e Torino.
Avverrà naturalmente controcorrente.
La peota bucintoro sarà accompagnata da un burchiello e da una gondola con il carico complesso di 24 colli tra "casse di legno, e balle di tela, più alcuni fagotti.'.' Contengono tutti i decori e gli arredi che nel lungo viaggio devono essere protetti. Il viaggio di risalita del Po prevede il traino con cavalli e buoi lungo le alzaie, i camminamenti sugli argini del fiume. Le barche sono assicurate tra loro con canapi: la veduta di Gaspar Van Wittel "Il Naviglio presso Padova" dà un'idea di come si svolgessero questi percorsi. Partito dal Rio dei Mendicanti veneziano, dove è stato terminato il carico il 2 agosto del 1731 il convoglio di barche reca ben chiuse nelle numerose casse sculture, arredi, mobili, cuscini, damaschi, i cristalli delle finestre... C'è anche un abito da barcaiolo che a Torino sarà riprodotto... Là Veduta della Dogana di Luca Carlevarijs da un idea del carico.
Le parti più preziose come il drago del timone, la ribolla, scolpito da Egidio Goyel, i cavalli marini e i putti e tutte le sculture già descritte sono state smontate e protette negli imballaggi. Era stata prevista una sosta alle porte di Torino, alla Madonna del Pilone, dove la peota sarebbe stata riallestita in tutto il suo splendore. Durante la navigazione sono avvenuti alcuni incidenti. Padre Ceccato, uno dei religiosi responsabili, si sente male, interrompe il viaggio e muore.
Un acquazzone si abbatte sulle barche con qualche, per fortuna, piccolo danno al carico.
Il convoglio giunge a Casale salvo. Ma ecco l'improvviso ordine da Torino: andare `con vitessa' al Valentino senza la sosta alla Madonna del Pilone. Il 2 settembre 1731 le barche passano il vecchio ponte sul Po che sarà dipinto14 anni dopo dal Bellotto e che è uno dei tesori della Galleria Sabauda.
Esso mostra l'alacre presenza settecentesca della navigazione sul fiume. All'arrivo bucintoro e gondola sono sballati e le sculture rimontate. Ecco l'opera in tutta la sua bellezza, Il 4 settembre avviene la consegna ufficiale: la peota è inserita ufficialmente nella vita di corte "per servire di divertimento alle loro maestà sul fiume Po". Innalza lo stemma sabaudo con leoni ripetuto sulle rosse bandiere.

Tempi moderni

Bernardo Ballotta - Veduta del ponte sul PO
- 1745 - Torino - Galleria Sabauda
Al suo approdo nel 1731 la peota fu sistemata in un capanno a fianco del Castello del Valentino. Nell'immagine di Friedrich Werner "Veduta della villa del Valentino" del 1730 circa si può individuare questo rifugio. Era sollevata dall'acqua e calata solo per le feste e le ricorrenze. Ad esempio per il matrimonio di Carlo Emanuele IV con Clotilde di Francia (1776): per le nozze di Vittorio Emanuele Il con Adelaide (1842) e nel 1867 per il matrimonio del principe Amedeo di Savoia con Maria Vittoria del Pozzo della Cisterna. Condotta da due coppie di rematori, la Peota compare nella regata sul Po del 14 maggio 1860 per la festa dello Statuto. Successivamente dopo lunghi rapporti, la Città di Torino ottenne dal Ministero della Real Casa la cessione della peota per il nuovo museo civico. Dopo alterne vicende essa fu ricoverata in Palazzo Madama dove restò fino ad anni recenti.


Friedrich Werner
Veduta della Villa del Valentino - 1730
Dopo una presentazione alla Mostra del Barocco Piemontese del 1931 e, sempre nel Voltone di Palazzo Madama, a quella successiva del 1963. fu esposta alla mostra dell'antiquariato a Palazzo Nervi nel 1982. Tornata a Palazzo Madama, vi rimase fino al 14 gennaio del 2000 quando venne ricoverata nello spazio appositamente attrezzato presso il laboratorio di Aramengo della Nicola Restauri. 
Fu un rimessaggio creativo durante il quale molti studiosi e amatori riscoprirono lo straordinario manufatto. E finalmente si addivenne al restauro. Fu realizzato nel Centro di Conservazione e Restauro della Venaria Reale che con un lungo lavoro ha ridato il giusto splendore alla Barca d'oro del re che, conservata in comodato alla Reggia vi attrae con la sua spettacolarità, un pubblico entusiasta.

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