29/01/15

Una piccola parte del Frejus a Torino (2014)

Si tratta di rocce che, ricavate dalle viscere del Frejus furono portate, con intendimenti diversi, a Torino. Ma facciamo un salto all’indietro nel tempo.

25 dicembre 1870.
“Bardonecchia, 25. Dalla galleria. In questo momento. Ore 4,25, la sonda passa attraverso l’ultimo diaframma di 4 metri, esattamente nel mezzo. Ci parliamo da una parte all’altra. Il primo grido ripetuto dalle due parti fu di Viva l’Italia. Firmato: Grattoni”.
E’ il telegramma con cui si dava notizia del compimento di un’opera del piccolo Piemonte, ciclopica per quei tempi e seconda solo all’apertura del canale di Suez: il traforo ferroviario del Frejus.
La storia del traforo, ostinatamente proposto dal Medail e patrocinato dal Cavour e dal Des Ambrois, ebbe una lunga e travagliata vicenda parlamentare sino alla decisione di realizzarlo.


Prima della sua realizzazione fu oggetto di lunghe valutazioni sia dal punto di vista progettuale che geologico. Il Des Ambrois affidò la valutazione della struttura delle rocce al Prof. A. Sismonda dell’Università di Torino. Il Sismonda, dopo aver effettuato numerose ricognizioni sui terreni affioranti in superficie, sulla pendenza e direzione degli strati, in una relazione inviata al Des Ambrois assicurò che non si sarebbero incontrate gravi difficoltà tranne una vena di quarzite di circa quattrocento metri.
Le previsioni del Sismonda furono confermate in pieno. Partendo dall’imbocco nord s’incontrarono in successione:
- banchi d’arenarie e scisti antracitici, per 2.094 metri, di durezza variabile e talvolta notevole.
- quarziti compatte, di particolare durezza, per 389 metri.
- calcari dolomitici, di perforazione relativamente facile, per 356 metri.
- calcari scistosi con vene di quarzo bianco, misti a strati   scistosi friabili, per i rimanenti 9394,55 metri.
Durante il procedere dello scavo, il Simonda raccolse sistematicamente campionature delle varie rocce incontrate.
Il materiale è conservato nei sotterranei del Museo di Scienze Naturali di Torino. Si tratta di 556 pezzi, contrassegnati ognuno da un cartellino con il tipo di roccia e la progressiva del prelievo, accompagnati da un catalogo manoscritto. La collezione costituiva un reperto unico per quei tempi e rivestiva una grande importanza scientifica per gli studi geologici delle Alpi.
Prima di iniziare gli scavi occorreva procedere alle misure geodetiche. Furono effettuate ben 28 triangolazioni con 21 vertici, di cui il più elevato è a 3100 m sulla Pelouse. Le operazioni, anticipate da numerose ricognizioni preliminari nell’autunno precedente, iniziarono a metà luglio 1858 e terminarono dopo soli due mesi. Complessivamente furono misurati 86 angoli, ripetendo ogni misura da venti a sessanta volte.
La precisione dei calcoli trovò conferma dalla minima differenza riscontrata quando i due tronchi, scavati da Modane e da Bardonecchia, s’incontrarono: lo scarto finale fu di soli quaranta centimetri in direzione e di sessanta in altezza.
Contemporaneamente si provvide ad impiantare i due cantieri poiché sia Forneaux (400 abitanti) sia Bardonecchia non erano in grado di sopperire alle esigenze di un alto numero d’operai.
In Bardonecchia furono costruite due caseggiati destinati agli uffici della dirigenza ed alle abitazioni del personale con ruoli direttivi. Dal rispettivo colore vennero denominate “casa rossa” e “casa bianca”. La casa rossa, che esiste tuttora, era destinata successivamente a diventare la stazione ferroviaria. A causa dell’eccessiva pendenza della sede dei binari che avrebbe ostacolato la fermata e la ripartenza dei treni, la stazione sarà poi spostata più a valle, previo livellamento del piazzale. L’edificio ottocentesco della stazione è stato poi demolito poco prima della seconda guerra mondiale e sostituito con l’attuale.
Le abitazioni degli operai furono collocate lungo l’attuale via Sommellier, chiamata inizialmente via del traforo. Erano dette case “Bedoni” dal nome del costruttore, ma meglio conosciute come “’l numer ot” perché erano appunto otto.
L’inaugurazione dei lavori avvenne il 31 agosto 1857 a Modane alla presenza di Vittorio Emanuele II accompagnato da Cavour, dal ministro dei lavori pubblici Paleocapa, dall’aiutante di campo Cialdini e da rappresentanti dei parlamentari.
Presso Fourneaux, nel luogo dove avrebbe dovuto aprirsi la galleria, era stata posta , tra due torri improvvisate, una tela su cui era stata dipinta l’apertura del traforo.
Alle 7,30 iniziò la cerimonia alla presenza delle delegazioni piemontesi e francesi, delle autorità dei paesi, degli ingegneri e dei Delegati.
La “Gazzetta Piemontese” del tempo riporta la cronaca della cerimonia:
“… La gran vallata verso levante illuminata dal sole presentava una sequela interminabile di monti altissimi. Il vescovo della Moriana tenne un breve discorso e, avvicinatosi all’altare, invocò l’assistenza di Dio nell’esecuzione della grande opera e impartì la benedizione”.
Terminata la funzione religiosa, l’ing. Ranco porse al re il manubrio del conduttore elettrico e Vittorio Emanuele II diede inizio simbolicamente ai lavori facendo brillare una volata dimostrativa di 500 mine, scavate ad una distanza di circa tre chilometri, “che scoppiarono istantaneamente tutte assieme, poco dopo le 9”.
Decisivo per il procedere dei lavori fu l’utilizzo delle perforatrici ad aria compressa.
L’ultimo diaframma di un metro e mezzo fu fatto saltare alle 17,25 del Natele 1870.
Sgomberato il materiale, le squadre s’incontrarono al grido di “Viva l’Italia – Vive la France”. Si raccolsero frammenti di roccia, donati poi al Museo industriale ed all’Istituto Tecnico di Torino.
Il 17 settembre 1871 ebbe luogo l’inaugurazione ufficiale della galleria alla presenza di ministri, parlamentari ed i maggiori esponenti della nobiltà piemontese oltre che del progettista del canale di Suez Ferdinand de Lesseps, degli ingenieri che avevano realizzato il traforo e del figlio di Medail.
Innumerevoli furono a Torino i festeggiamenti per la grandiosa impresa che ispirò, tra l’altro, un quadro del ballo “Excelsior”.
Ma se i campioni di rocce prelevati durante lo scavo giacciono in qualche scantinato dei musei, un’altra testimonianza della nostra Bardonecchia è sotto gli occhi di tutti i passanti in Piazza Statuto a Torino. Si tratta del monumento al traforo del Frejus di cui ricorre il 145° anniversario della sua inaugurazione.
A proporre la sua attuazione, a ricordo dei realizzatori del traforo: Sommelier, Grandis e Grattoni, furono le società operaie di Torino. In tempi relativamente brevi furono raccolte 22.919 lire.
A questa cifra si aggiunsero 17.149 lire per una sottoscrizione patrocinata dall’industriale Laclaire.
Infine il Comune, inizialmente titubante, stanziò 44.000 lire, destinate anche alla realizzazione del giardino di piazza Statuto dove si era deciso di collocare il monumento.
La piazza era stata progettata nel 1846 come piazza aperta verso quella che allora costituiva la periferia, e dedicata due anni dopo allo Statuto Albertino. Era stata concepita come destinata ad ospitare le sedi delle ambasciate straniere accreditate a Torino. Fu inaugurata solo nel 1865 quando ormai la città aveva perso il suo ruolo di capitale.
Ad ideare il monumento fu il conte Marcello Panissera di Veglio, “artista distintissimo”, senatore e direttore della Regia Accademia Albertina. Il bozzetto iniziale si deve al giovane Luigi Belli.
Su un basamento piramidale, composto da enormi massi estratti dall’interno del Frejus, si erge il Genio alato della Scienza che scrive su una targa i nomi di sommelier, Grandis e Gattoni e che  domina alcuni titani, rappresentanti la forza bruta, che tentano invano di inerpicarsi. Secondo il positivismo imperante all’epoca, si celebrava così il primato della ragione.
I modelli dei titani furono realizzati, gratuitamente, dagli  alunni dell’Accademia Albertina, sotto la guida di Odoardo Tabacchi.
Le fusioni dei bronzi furono attuate nell’Arsenale di Torino. Il costo complessivo dell’opera, stimato inizialmente in 150.000 lire, superò di poco la metà.
L’inaugurazione avvenne il 26 ottobre 1879 in presenza del re Umberto I. I tre realizzatori del traforo non furono presenti; Sommelier e Grattoni erano già scomparsi e Grandis preferì, per vari motivi, non intervenire.
Il sindaco Ferrari celebrò la “scienza che volge a servigio  nostro, domate le cieche forze della natura” mentre Ubaldo Cassone, in rappresentanza delle società operaie, esaltò “un degno monumento” che “segna al forestiero che volere è potere e che un popolo, quando è retto a principio di sana libertà, compie delle opere titaniche”.

GLI ITALIANI
RICONOSCENTI
AUSPICE IL MUNICIPIO
DI TORINO
LE SOCIETA’ OPERAIE
INIZIATRICI
ERESSERO
A SOMMELIER
GRATTONI GRANDIS
CHE UNIRONO DUE
POPOLI LATINI
COL TRAFORO DEL
FREJUS
AL COSPETTO
DI UMBERTO I
IL DI XXVI OTTOBRE
MDCCCLXXIX


Guido Ambrois